Gnocchi furbi e moda del South Florida: Lululemon

Chiacchierando con un’amica stamani, si considerava quando ci manchi fare il cambio di stagione. Sebbene, di per sé, sia una attività noiosa e anche un po’ faticosa, porta con sé una ventata d’aria nuova. Ogni sei mesi, di fatto, l’armadio si riempie di abiti nuovi, alcuni che neppure ci si ricordava di avere. E’ un’ottima occasione per sfoltire il guardaroba e tagliare i rami secchi, o di verificare il proprio girovita. Per non parlare della gioia di trovare qualche soldo nelle tasche del giaccone riposto frettolosamente l’anno precedente. Insomma, ammetto che per me non era così terribile dover occuparmi del cambio degli armadi.

Poi sono arrivata in South Florida, e il mio concetto di moda, shopping e rotazione stagionale sono tristemente rimasti in Europa.

E’ davvero così diverso vestirsi in USA? Per quanto mi riguarda, la risposta è Sì. Sono diversi i tessuti, la moda, le convenzioni sociali e, soprattutto qui ai tropici, il clima. Io provengo da una cittadina a pochi km da Forte dei Marmi. Era normale, soprattutto il week end, uscire a vedere le vetrine delle boutique, sfoggiare le pelletterie all’ultima moda, avere sempre i capelli con la piega fatta.

Non qui, almeno non a Fort Lauderdale. Tra le primissime cose che mi hanno lasciata a bocca aperta, è stato vedere le mamme a prendere i bimbi fuori da scuola coi capelli bagnati, come appena uscite dalla doccia. Giuro. Non mi era mai successo nella mia vità. In Italia, i capelli si asciugano, a meno che tu non stia uscendo dalla spiaggia. Anche perché, lo sapete meglio di me, la cervicale potrebbe punirvi in modo permanente. Una volta, ma solo una, lo ammetto, ho visto una mamma all’uscita con l’asciugamano avvolto attorno al corpo, il costume sotto e gli immancabili capelli bagnati. Ovviamente, in questi anni, ho visto qualcuno fare la spesa in pigiama o passeggiare sui trail del parco naturale con le ciabatte di pelo rosa, ma quello riesce sempre a stupirmi meno.

Un’amica, una volta, mi disse che lei preferiva vivere qui, che non a Mexico City, perchè lì erano davvero troppo formali:
“Non si può neppure andare al ristorante in flip flop (infradito di gomma)”. Vi lascio immaginare la mia faccia che non capivo cosa ci fosse di strano in una simile richiesta. Poi ho visto la gente del mio palazzo al party per la riapertura del pool deck: pigiami slargati, maglie con macchie di unto, ciabatte spaiate, senza davvero nessuna delle regole sociali a cui noi siamo stati abituati.
Eppure, esiste la moda anche qui.

Non parlo ovviamente delle boutique di Bal Harbour o Design District, ma parlo dei trend più in voga tra le donne tra i 30 e i 50 anni. La divisa casual delle mamme della mia scuola, ad esempio, è il completo da yoga. Come facciano a indossare leggins aderenti con 35°C e 90% di umidità per me è un mistero (forse è merito dei capelli bagnati), ma se non possiedi un paio di pantaloni Lululemon non sei veramente alla moda.

La storia di Lululemon

Anche se siete appassionate di yoga, è probabile che non conosciate questo brand, visto che è famoso per lo più qui (e, per qui, intendo il South Florida). Nata a Vancouver cavallo del 2000, ad opera del suo ideatore Denis “Chip” Wilson, la Lululemon si occupa di produrre abbigliamento sportivo per una donna che, come spiega il suo fondatore al NYTimes, è “a 32-year-old professional single woman named Ocean who makes $100,000 a year.” che è “engaged, has her own condo, is traveling, fashionable, has an hour and a half to work out a day,”

Secondo quanto dichiarato sempre dal portavoce dell’azienda alla Balle BC Conference, i suoi prodotti inoltre, è giusto che siano prodotti da manodopera minorile nei paesi del terzo mondo, perchè questo permette ai bambini di collaborare al sostentamento famigliare e contribuisce a migliorare il benessere del mondo più povero (sic!)

Non solo attivo sul sociale, il CEO della compagnia è dotato anche di un forte senso del rispetto del prossimo. A partire dal nome del brand, Lululemon, scelto perché il consumatore asiatico e, in particolare, la facoltosa sciura giapponese, non avesse problemi a pronunciarlo correttamente. Sempre che si trattasse di una cliente in forma, visto che non ha mai fatto mistero del fatto che un corpo grasso non si adatta bene ai loro modelli esclusivi e che, comunque, all’azienda costava troppo creare modelli per over size.

In seguito alle sue dichiarazioni particolarmente poco politicamente corrette, il fondatore della Lululemon venne rimosso dalla sua carica rappresentativa nel 2013 a favore della CEO Christine Day. Anche la situazione lavorativa per le commesse dei suoi punti vendita (tutti in location centrali e/o esclusive, come lo store di due piani su 5th Avenue) non e’ ideale. La compagnia promuove la competizione interna, chiede agli addetti di piegare i capi davanti ai camerini, allo scopo di origliare le conversazioni e riportare, ogni 2 settimane, i feed all’ufficio centrale.

Inoltre, periodicamente, i dipendenti devo controllarsi le borse a vicenda in modo da prevenire furti interni e promuove giochi di ruolo piuttosto agghiaccianti, come quello in cui si chiede “se sulla barca di soccorso ci stessero solo 6 persone, mi salveresti e perché”.

Uno dei punti vendita, quello di Bethesda, a nord di Washington DC. è stato sede di un efferato omicidio, come raccontato dal podcast di Bouquet of Madness #24.

Nonostante, o forse proprio per questa sua storia controversa, il marchio è sempre presente addosso a tutte le ragazze benestanti, come abbigliamento confortevole ma sempre di lusso. Se già desiderate anche voi un paio di pants del marchio di yoga più amato della Florida, sappiate che però hanno anche dei difetti. I modelli hanno un turn over molto stretto, di poche settimane, per cui se vi piace un capo venite invitate ad acquistarlo subito, o domani probabilmente non lo troverete più. Nel 2007, la compagnia aveva pubblicizzato il modello Vitasea, prodotto dalle alghe, ma, di fatto, questa si è rivelata una sonora bufala. Nel 2013, una partita piuttosto consistente di pantaloni si rivelò inadatta a molte posizioni di yoga, in quanto tendeva a diventare davvero troppo trasparente.

Per concludere con tutto un altro tenore (ma vi prometto che il prossimo mese finirò il capitolo moda con tutto articolo più glamour), vi lascio una di quelle ricette che vi cambierà la vita, molto più delle dichiarazioni del sig. Wilson.

Gnocchi di patate furbi

Gnocchi furbi (e veloci)
Tempo che l’acqua bolle, saranno pronti per essere cucinati!!

Ingredienti

Dosi per 3 persone

2 cup di fiocchi di patate tipo purè istantaneo
1 cup di farina
2 cucchiaini di sale
1 1/2 cup acqua
1 grosso uovo (circa 60 g)

Mescolare le polveri in una ciotola. Aggiungere acqua e uovo, mescolati a parte.
Lavorare velocemente con un cucchiaio e, appena sta assieme, lasciar riposare 3 minuti
Intanto mettete l’acqua sul fuoco
Impastare la pasta su una superficie leggermente infarinata, finché non ha la consistenza del Dido’, circa 3 minuti. Far riposare 5 minuti. Dividere la pasta in 6 parti, da cui ricaverete gli gnocchi.
Buttateli nell’acqua in ebollizione, scolateli con un mestolo forato e conditeli a piacere.

Note: in mancanza della cup americana, potete usare un bicchiere della Nutella, per i liquidi, una cup sono circa 250 mL

Potete metterli in un vassoio infarinato e conservarli qualche ora in frigo.

Enjoy!

Elena, Florida

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