Sto seguendo con grande interesse le vicissitudini dei miei colleghi italiani che al termine delle vacanze natalizie si stanno ancora interrogando e barcamenando tra direttive e restrizioni e moniti e appelli a riaprire le scuole. Nella mia contea, le scuole hanno chiuso venerdì 13 marzo per non riaprire più. Ad oggi, festeggiamo 10 mesi di didattica a distanza e di questo passo è molto probabile che le scuole non riapriranno se non per il prossimo anno scolastico, vaccino permettendo.
A quasi un anno di lezioni a distanza, l’aspetto che più mi ha colpito e che rimarrà scolpito nei miei ricordi è fatto di memorie emotive, di come e quanto questa pandemia abbia messo in discussione il nostro ruolo di insegnanti e di come la società abbia visto e salutato questa esperienza che nella sua drammaticità ha comunque aperto nuove strade, seppur in salita, ridisegnando il modo di fare scuola.

Questi dieci mesi di didattica a distanza hanno dimostrato una volta di più che il lavoro dell’insegnante è fatto per l’ottanta percento di rapporti umani e solo per un venti percento di conoscenze, competenze e capacità. La seconda considerazione è quella che alcuni studenti con patologie come l’ADHD, il disturbo di attenzione e iperattività, sembrano aver beneficiato dalla DAD. Terzo ed ultimo aspetto riguarda il rapporto e l’apporto delle famiglie nell’educazione dei figli che è stato messo a dura prova da questa esperienza.
In conclusione, ogni insegnante si è dovuto reinventare, gettando il cuore oltre gli ostacoli facendo di necessità virtù, di questo parlo nella storia ‘un tè a Persepoli’.
Michele, Ex cathedra 2.0