Una scuola a distanza

Sto seguendo con grande interesse le vicissitudini dei miei colleghi italiani che al termine delle vacanze natalizie si stanno ancora interrogando e barcamenando tra direttive e restrizioni e moniti e appelli a riaprire le scuole. Nella mia contea, le scuole hanno chiuso venerdì 13 marzo per non riaprire più. Ad oggi, festeggiamo 10 mesi di didattica a distanza e di questo passo è molto probabile che le scuole non riapriranno se non per il prossimo anno scolastico, vaccino permettendo.

A quasi un anno di lezioni a distanza, l’aspetto che più mi ha colpito e che rimarrà scolpito nei miei ricordi è fatto di memorie emotive, di come e quanto questa pandemia abbia messo in discussione il nostro ruolo di insegnanti e di come la società abbia visto e salutato questa esperienza che nella sua drammaticità ha comunque aperto nuove strade, seppur in salita, ridisegnando il modo di fare scuola.

Photo by Vlada Karpovich on Pexels.com

Questi dieci mesi di didattica a distanza hanno dimostrato una volta di più che il lavoro dell’insegnante è fatto per l’ottanta percento di rapporti umani e solo per un venti percento di conoscenze, competenze e capacità. La seconda considerazione è quella che alcuni studenti con patologie come l’ADHD, il disturbo di attenzione e iperattività, sembrano aver beneficiato dalla DAD. Terzo ed ultimo aspetto riguarda il rapporto e l’apporto delle famiglie nell’educazione dei figli che è stato messo a dura prova da questa esperienza.

In conclusione, ogni insegnante si è dovuto reinventare, gettando il cuore oltre gli ostacoli facendo di necessità virtù, di questo parlo nella storia ‘un tè a Persepoli’.

Michele, Ex cathedra 2.0

Pubblicato da excathedra20

Insegnante di latino e italiano per una decina di anni in Italia, dal Duemilaundici in una scuola superiore negli Stati Uniti.

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