Il Michigan e i suoi vini

Da italiana in USA da 10 anni, quando devo acquistare un vino, solitamente privilegio vini italiani o francesi. Con il tempo però ho iniziato ad avvicinarmi ai vini Cileni ed Argentini. Per molto, troppo, tempo ho avuto un pregiudizio sui vini americani. Poi, dopo un viaggio in Napa e Sonoma Valley, ho iniziato a ricredermi e ad acquistare anche alcune marche californiane. Da cosa nasce cosa, e dopo i vini californiani ho iniziato ad apprezzare anche – e soprattutto – quelli della Willamette Valley in Oregon.

Dopo un trascorso di due anni in Texas e due in Tennessee, da cinque anni vivo in Michigan nei suburbs di Detroit. Il Michigan Wine Country si trova a sole tre ore da casa, affacciato sul lago Michigan. Ogni anno mio marito ed io spendiamo almeno uno dei nostri weekend a rilassarci tra le colline ed i vigneti di Traverse City, degustando e scoprendo nuovi produttori. Quest’anno, per la prima volta, ci sono stata con due amiche: il classico viaggio in auto il cui leitmotif sono state le confidenze di amiche di lunga data che, per una volta, si trovano senza mariti e figli al seguito e si sentono libere di raccontare aneddoti di cui mai avevano fatto cenno. Un weekend all’insegna del relax, degustando vini e ammirando i colori che il foliage ci regala ogni autunno.

Che siate appassionati di vino come me o che siate astemi, Traverse City comunque “vale una messa”. La cittadina affacciata sul lago Michigan, così come i paesi vicini, brulica di ristoranti di alto livello, negozi di antiquariato, e gallerie d’arte. Non solo… è famosa per le pietre preziose e le ciliegie.

Versatevi un caffè o buon bicchiere di vino e non perdetevi il post sul mio weekend a scoprire le vineyard nel nord del Michigan. Buona lettura e Cin Cin!

https://lecuginedamerica.com/2019/10/09/il-michigan-e-i-suoi-vini/

Imparare a dire addio negli USA

Quando ti trasferisci negli Stati Uniti portandoti dietro un bagaglio emotivo ingombrante, non fai una vita facile…

Io sono una persona che si affeziona facilmente, che fa amicizia in fretta, che costruisce in poco tempo abitudini affettuose, come prendere un caffè o un bicchiere di vino insieme. Le persone mi piacciono, e soprattutto mi piace conoscerle a fondo, farle entrare nella mia vita ed entrare con garbo nella loro. Quindi, stando a quello che mi dicono in molti, mi trovo nel posto sbagliato.

Io, che cerco il “per sempre” un po’ ovunque, infatti, mi trovo all’improvviso nella patria degli spostamenti, dei cambiamenti, del “tutto è possibile”. Il che è tutto molto bello, per carità, ma vedere tutta questa gente che cambia lavoro, casa, città e scuola con una certa leggerezza, mi fa perdere punti di riferimento, talvolta mi fa sentire anche un po’ sola.

Io, al contrario, ho vissuto per trent’anni nella stessa città, Milano, per poi trasferirmi in provincia una volta sposata, e adesso che vivo in Texas sono circondata da famiglie che sembrano le palline di un flipper. Tutti sono alla ricerca della realizzazione personale e professionale, sono in un moto perpetuo, hanno radici leggere e grandi sogni. Mi piacciono, così come mi piace questo spirito di rinnovamento, questo non accontentarsi mai, ma da una parte…eh, da una parte vederli andare via strappa qualcosa dal mio cuore italiano.

Quindi cosa fa una come me, per proteggersi da una mai risolta sindrome da abbandono? Semplice, se ne fa una ragione. Ecco come si impara a dire addio… continua a leggere.

Il senso civico degli Americani

Due caratteristiche culturali che si notano appena arrivati negli Stati Uniti sono il senso civico e la gentilezza degli Americani. Io lo notai dopo meno di una settimana in Connecticut ma, come confermato da tanti expats italiani, non avviene solo in New England, ma in ogni stato è un profluvio quotidiano di “Thank you”, “Sorry”, “Please” uniti a piccoli atti di gentilezza che non possono fare altro che piacere.

Se stai per entrare in un negozio, la persona che ha aperto la porta prima di te, tiene la porta aperta per agevolarti l’entrata, per strada gli automobilisti frenano a molti metri di distanza non appena vedono che stai per mettere il piede sulle strisce pedonali, agli incroci senza semafori (ce ne sono molti in Connecticut) scene ai confini della realtà per un italiano perché entra in scena il gesticolare della gentilezza: “Go ahead”, ” No sir, you go ahead first”.

Ma la cosa più interessante è che quando qualcuno fa il furbo e si comporta in modo poco civile o nocivo per gli altri, gli Americani non fanno finta di niente. Non attendono il vigile, il poliziotto o il controllore del treno. Agiscono in prima persona e rimproverano l’incivile e a quel punto molti altri intervengono a dare man forte.

In poche parole il controllo sociale viene “dal basso”. Continua a leggere a questo link!

Torno a vivere in America blog.

I primi anni di scuola in USA

Chi come me ha blog sugli Stati Uniti riceve molte domande, specialmente se il blog in questione si  occupa principalmente  della vita quotidiana di chi straniero si trasferisce a vivere da questa parte del mondo.

Tra le domande più frequenti che ricevo da chi si appresta a trasferirsi a vivere in USA  e con bambini in età scolare, ci sono quelle sulle scuole.

Come genitore mi sento molto coinvolta nell’argomento, perchè ho sempre pensato che fosse assolutamente necessario preoccuparsi del benessere, anche mentale, dei bambini che si trovano catapultati in un mondo nuovo.  L’educazione negli Stati Uniti è uno degli argomenti che ho trattato nel blog con il numero maggiore di post.

Mia figlia  è nata negli Stati Uniti: ha frequentato tutte le scuole in USA e ormai si è pure laureata.

Lasciatemi dire che di esperienza me ne sono fatta.

Fermo restando che rimangono delle differenze tra i vari stati degli Stati Uniti e le mie compagne di avventura di USA Coast to Coast vi racconteranno cosa  succede a casa loro, rimane il fatto che il ciclo obbligatorio di scuola viene chiamato K-12, cioè va dal Kindergarden al dodicesimo anno di scuola, il quarto delle superiori, cioè l’ultimo.

Il percorso scolastico è suddiviso in  Elementary school, Middle school, anche chiamata Junior High, e High school per un totale di 13 anni di scuola.

La scuola elementare (Elementary school)  dura 6 anni (dal Kindergarden al fifth grade), poi ci sono tre anni di scuola media (Middle school) e quattro di scuola superiore (High school) .

Le differenze tra il sistema scolastico americano ed italiano non si fermano solo alla suddivisione del percorso scolastico, ma sono molto più profonde.

Per esempio qui non esistono le classi che stanno insieme per i 5, 3 e 5 anni di ogni ciclo scolastico e i maestri che insegnano in prima elementare, per esempio, insegnano sempre e solo quella…non seguono gli studenti.

In questo post vi porto a spasso attraverso i primi anni di scuola dei bambini americani secondo la mia esperienza tra Pennsylvania e Wisconsin,

Claudia, Un’alessandrina in America

Puoi lasciare il Texas, ma il Texas non lascerà te

Il Texas, il Lone Star State, l’unico stato americano che prima di unirsi all’Unione è stato una nazione a sé stante. Basta solo questo per creare il mito di uno degli stati americani più patriottici, orgogliosi e caratteristici.

Il Texas è innovazione, tecnologica soprattutto, che si può trovare in città all’avanguardia come Austin, Houston o Dallas, veri e propri centri metropolitani, ma si mantiene fondamentalmente uno stato dal carattere rurale, una volta che si entra nella sua più profonda periferia. Nella sua parlata, nel suo modo di comportarsi e di vestirsi. In questo sconfinato lembo di terra il mito del vecchio West incontra il mito del Texas, fatto di cultura, storia, leggende e, soprattutto, senso di appartenenza.

Ho avuto modo di riscontrare ciò durante molte conversazioni con amici texani, che mi hanno facilmente trasmesso il loro senso di orgoglio di fare parte di questa terra solitaria ed emancipata, che non si fa dettare le regole di vita da nessuno al di fuori dai suoi confini, ma anzi, detta le proprie per se stessa e fa di esse una vera e propria cultura.

Lo scrittore texano W.F. Strong, durante una recente conversazione con il presente autore, ha raccontato di come la cultura country scorra nelle vene dei texani. Lo si può riscontrare prevalentemente nella vecchia generazione, ma anche nei giovani texani che, finita la sessione di studi giornaliera all’università, si incontrano nei locali alla moda di Dallas o Austin, ma cantando al karaoke canzoni di George Strait e vestendo con cappelli e stivali da cowboy.

Leggi il mio post su Idiomi e cultura del Lone Star State.

Tiziano, Stories About America

Come si cambia negli Stati Uniti

Come tanti che si trasferiscono in una nuova nazione, è inevitabile assimilare alcune usanze del posto. I 50 Stati per alcuni versi possono essere paragonati all’Europa, dove ogni nazione ha usi e costumi differenti. Che poi sappiamo benissimo, già tra Nord e Sud Italia le cose possono essere completamente differenti!

Vivo a Miami da 8 anni e questa città non ha niente a che vedere con gli Stati Uniti, anche se alcune abitudini sono tipicamente nordamericane, come ad esempio gli orari della cena. Miami e’ completamente latina, e se fino ad una decina di anni fa si trovavano per la stragrande maggioranza cubani, ora i venezuelani iniziano ad essere altrettanto numerosi – e i cubani si sentono invasi! Ci potete credere? Ma ve ne parlerò in un altro post. Quello che oggi volevo raccontarvi sono alcune delle mie nuove abitudini, che in Italia non mi appartenevano nemmeno lontanamente e che invece qui sono diventate parte del mio modo di essere. Come, appunto, cenare alle 7.

La cultura del luogo influenza tantissimo le proprie abitudini, che poi e’ un aspetto importante del processo di integrazione. Tra l’altro confrontandomi con amiche che vivono in California ho capito che in quello Stato – e in generale nella costa ovest degli USA – c’e’ una cultura anni luce lontana da quella della Florida. Qui pero’ parlo di cose molto più generali, in cui credo chiunque viva in America possa riconoscersi.

Volete saperne di più? Continua a leggere: 10 motivi per cui sono diventata americana.

Storia della Route 66

Quando parliamo di On the Road non possiamo non pensare alle Scenic Byway americane, oppure a quelle strade dritte e infinite che amiamo tanto noi malati d’America.
Ma se devo pensare a una strada che più di tutte incarna nell’immaginario collettivo il viaggio “made in USA” la prima che mi viene in mente è la Route 66, e non è un caso.

Questa strada nata nel lontano 1926 dalla mente geniale di Cyrus Avery è stata la prima Highway americana interamente asfaltata, anche se dovette attendere fino al 1938 per diventarlo. I cartelli che ne indicavano la percorrenza furono installati nel 1927 ben un anno dopo la sua apertura, questo fa ben capire le difficoltà che incontrarono i vari stati per poterla completare.

Con le sue 2448 miglia è stata la strada più amata dagli americani fino alla sua dismissione avvenuta nel giugno del 1985, ma la cosa incredibile è che la Mother Road non è morta anche se scomparsa dalle carte stradali ufficiali, infatti ancora oggi continua ad accompagnare i viaggiatori attraverso 8 stati da Chicago a Santa Monica.

Percorreva vuol dire vivere emozioni uniche attraversando Illinois, Missouri, Kansas, Oklahoma, Texas, New Messico, Arizona e California, un museo a cielo aperto con i suoi diner, le sue stazioni di servizio e i suoi motel. Un viaggio nel tempo affascinante ed emozionante, capace di portare il viaggiatore dentro mitiche pellicole cinematografiche, serie TV e video musicali, tutti media che hanno aumentato ancora di più la fama di questo polveroso nastro di asfalto.

In pochi sanno però che non è stata la prima highway americana, infatti anni prima ne fu realizzata un’altra che partiva da Times Square, nel cuore di New York City, per arrivare fino a San Francisco, ma questa ve la racconterò in un prossimo articolo, per ora vi consiglio di approfondire la Route 66 con questo articolo sul mio blog e sognare di percorrerla a bordo di una vecchia Cadillac anni ’50 o di una luccicante e rumorosa Harley Davidson.

Lo spettacolo del Football

Da quando ho iniziato a frequentare colui che poi sarebbe diventato mio marito, quello del college football è sempre stato un rumore di sottofondo nella mia vita.

Il football è uno sport che non mi ha mai particolarmente entusiasmata, dei ragazzi venerati come degli dei in terra che si inseguono, si ammucchiano, e spesso si fanno male, tutto nel tentativo di proteggere una palla ovale e portarla dall’altra parte del campo. Come tante altre persone anche io ho seguito annualmente il Super Bowl, la finale del campionato professionistico, solo per le pubblicità inedite e per lo spettacolo musicale che si tiene a metà partita. Sentivo parole come “touchdown”, “linebacker”, “Hail Mary pass”, “Heisman Trophy” galleggiare nell’aria ma, oltre ad una conoscenza passiva dell’argomento, non sono mai andata oltre. Poi un giorno ho avuto l’occasione di vedere di persona una partita allo stadio…

Sarà riuscita questa nuova esperienza a trasformarmi in una sportiva o sarò rimasta, come mio costume, l’antropologa mancata che ama osservare i comportamenti delle persone?

La risposta al quesito la troverete continuando a leggere: The great football show!

Photo by Riley McCullough on Unsplash

Culture Shock

“Ma quali sono stati i tuoi Culture Shock quando sei arrivato?”

Spesso stupisce come ci siano cose in comune tra chi vive in paesi che possano sembrare molto diversi fra loro. Altre volte, invece, ci stupiamo di come in paesi che magari pensiamo simili all’Italia altrettanto possano generare la “botta” da culture shock.

Penso capiti un po’ a tutti appena trasferiti. Il culture shock. Per quanto uno si prepari prima, parli con persone già in loco con background simili al proprio, si leggano libri e guide non si è mai completamente pronti. Il culture shock è sempre lí in agguato e prima o poi arriva. 

Spesso poi sono le piccole cose a cui uno non pensa che ci colpiscono. Alla fine sono spesso i piccoli gesti, le abitudini di ogni giorno e cose così che riempiono le nostre giornate. Tante di queste cose sono così radicati nelle nostre abitudini, nella cultura del luogo in cui abbiamo vissuto che spesso vengono date per scontante. Ma scontate non sono, soprattuto se magari ci si sposta a vivere a migliaia di miglia ( o chilometri) da “casa”.

Con il tempo tanti shock, sorprese che ci colpiscono nei primi tempi del trasferimento diventano parte integrante delle nostre nuove routine e iniziano a loro volta ad essere dati magari scontati o quanto meno non ci colpiscono più cosí tanto. Quello che mi stupisce è come alcuni di essi diventino appunto aspetti scontati a cui magari non si pone troppa attenzione e poi attirino nuovamente ed inaspettatamente la nostra attenzione.  Magari un giorno all’improvviso un dettaglio, un evento particolare riportano su questi culture shock iniziali la nostra attenzione o arriviamo al punto di stupirci di come in precedenza avessi abitudini e consuetudini diverse.

A voi è capitato magari a seguito di un trasferimento o un viaggio in un altro paese? Cosa ha colpito la vostra attenzione? Cosa non vi sareste aspettati?

Qui vi racconto cosa colpí me nei primi tempi in cui arrivai in Texas.

La bellezza a Los Angeles

Mi sono trasferita a Los Angeles due anni e mezzo fa, dopo 4 anni e mezzo vissuti intensamente a San Francisco. E passare dal nord della California al sud è stata una bella transizione… Non si è trattato di ricominciare tutto da capo, eh, di orientarsi di nuovo e confrontarsi con una nuova cultura, com’è stato nel passaggio dall’Italia agli Stati Uniti 7 anni fa, ma in ogni caso, si è trattato di un bel cambiamento.
San Francisco non è Los Angeles. E ci è voluto un po’ di tempo per ambientarsi! E, onestamente, non credo ancora di essermi completamente ambientata.

Di certo, Los Angeles mi ha offerto opportunità lavorative nel mio campo, quello della storia dell’arte, che a San Francisco non avrei potuto neanche sognare. E mi ha dato anche l’opportunità di avere accesso a meravigliosi musei e istituzioni culturali, come il Getty Museum o la Huntington Library, che vantano ricchissime collezioni di arte e manoscritti miniati, di cui mi occupo per lavoro. E questi musei, al di là del materiale di lavoro che mi hanno offerto, mi hanno anche dato l’occasione per “respirare aria fresca” se così si può dire, in luoghi che sanno di storia, di arte e di bellezza.

Diversamente dall’Italia dove ogni viuzza, ogni centro storico, ogni palazzo offre agli occhi uno spettacolo da rimirare, qui in California, e specialmente qui a Los Angeles, la bellezza si fa desiderare un po’.  La bellezza si nasconde nei luoghi della cultura, in queste prestigiose istituzioni che accolgono ogni giorno migliaia di visitatori. Ed è evidente che per godere di tale bellezza, bisogna andarla a cercare, inseguirla, non darla per scontata nella vita quotidiana e quindi correre dietro a quel bisogno che io definisco un bisogno di bellezza che guida la mia vita. Senza bellezza negli occhi, io, che sono una storica dell’arte, proprio non potrei stare. Ho sete di vedere cose belle. E così, è proprio in posti come il Getty o la Huntington Library di Pasadena dove adoro trascorrere le mie giornate lavorative, ispirata dalla bellezza di questi luoghi e dalle loro collezioni.

In questo post vi racconto della mia ricerca della bellezza a Los Angeles, una bellezza di cui ho bisogno nel mio quotidiano californiano….

La bellezza a Los Angeles

Sabina, Living in California: That’s Culture Shock!