Un altro pazzo viaggio

Ciao a tutti, con il nuovo anno penso che riuscirò a far uscire il mio nuovo libro. Questo come il precedente è ambientato negli USA. Questa volta si cambia andremo ad est. Vi racconterò il mio viaggio tra la costa atlantica e i grandi parchi del sud est. Qui vi lascio un estratto preso proprio dall’introduzione.

“Sull’aereo tornando dalla California già pensavo al prossimo viaggio.  La fantasia mi portava in luoghi lontani anche esotici e abbastanza diversi dagli USA: il Giappone, il Perù, l’Australia, il Sud Africa, il Madagascar, il Namibia e la Cina.  Conoscere nuovi luoghi da una parte mi cominciava ad affascinare e ad eccitare. Vedere il mondo da un altro punto di vista poteva essere un’esperienza indimenticabile. Quel punto di osservazione magari poteva essere non nell’emisfero boreale che tanto conoscevo. Forse era giunto il momento di vedere il mondo a “testa in giù”. Andare in quell’emisfero australe tanto letto e sognato in vari libri, ma mai visto con i miei occhi. Avrei potuto visitare bellezze naturali famose e anche alcune meno famose, ma altrettanto meravigliose. Inoltre, sarebbe stato sicuramente molto interessante conoscere nuove culture, nuovi usi e costumi e perché no anche qualche nuovo piatto tipico.  

Certo, sarebbe stato stupendo e oltremodo formativo, sia dal punto di vista culturale che dal punto di vista emotivo, ma rimase una mera ipotesi. Rimase un desiderio, una fantasia, un’idea, ma non diventò realtà. Questo perché  la nostalgia, il  cosiddetto “mal d’America”, parafrasando il ben più famoso “mal d’Africa”, e la voglia di visitare tutti gli stati degli USA erano fortemente preponderanti. Non viaggiavo per il gusto di mettere “bandierine” sul territorio visitato della città X e del paese Y del nostro fantastico pianeta, come se stessi giocando ad una versione pacifista di Risiko, in cui invece di conquistare un territorio per aggiungere la bandiera sulla mappa, bastava, per così dire, visitarlo. Non avevo bisogno di grattare quelle cartine geografiche in cui ogni volta che visiti un paese levi via la patina dorata su di esso. Come se poi per vedere, che so la Francia, bastava vedere Parigi. L’ho sempre ritenuto un discorso alquanto limitato. Per conoscere uno stato bisogna visitarlo un po’. Non solo la capitale e non solo vedere i luoghi turistici.”

Se volete sapere come va a finire non dovrete fare altro che aspettare l’uscita del libro, che spero sarà per questa primavera, intanto vi ricordo che potete acquistare il mio vecchio libro a questo link:

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Inoltre non dimenticate di seguire anche la nostra pagina:

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A presto.

Alessandro – I Nostri Pazzi Viaggi Negli USA

Tutto è possibile col sole ed un tocco di rosa

Il mese scorso vi avevo lasciato con la storia controversa del marchio Lululemon e del suo imbarazzante CEO.
Questo mese continuo a parlare di moda, ma questa vi racconto la bella storia anni ’50 di un brand che rappresenta tantissimo la Florida, Lilly Pulitzer.

Provenienti dall’alta società di New York, i coniugi Pulitzer si trasferirono nel South Florida giovanissimi, dopo un matrimonio celebrato di nascosto alle famiglie. Peter Pulitzer possedeva delle coltivazioni di arance nella zona di Palm Beach e la coppia divenne presto il fulcro della vita sociale locale.

(Se il nome vi ricorda qualcosa, è perché il nonno del marito, da cui ha acquisito il cognome, è proprio QUEL Signor Pulitzer da cui prende il nome QUEL premio Pulitzer)

La loro casa era sempre piena di gente, party informali, bambini e animali. Oltre a cani e gatti, infatti, ospitavano anche una scimmia e un vitello. In seguito a una grave depressione post partum, che le costò anche un ricovero in ospedale psichiatrico, il medico consigliò alla giovane Lilly di trovare un hobby che la tenesse impegnata e così aprì un chiosco in cui vendeva succo di arancia. Tuttavia, le arance, quando spremute, tendevano a macchiare i vestiti per cui chiese a un’ amica, Laura Clark-ex editor di Harper’s Bazar- di aiutarla a trovare una fantasia che potesse mascherare le macchie di frutta. Assieme a Laura e con l’aiuto della sua sarta inizio a produrre i propri vestiti, caratterizzati da una linea semplice e comoda (visto che lei stessa non sopportava di utilizzare indumenti intimi).

E le clienti del suo piccolo bar impazzirono per le sue creazioni.

Fu così che la regina dei party a piedi nudi, quella per cui la moda era una perdita di tempo, divenne in breve la regina della moda del South Florida.
Forse perché i suoi vestiti sono quasi senza cuciture, i tessuti naturali, per lo più cotone, forse perché i colori dei suoi capi gridano estate, spiaggia, vacanze e cocktail in riva al mare, ma la sua l’iconica fantasia a colori fluo è, ancora oggi, la firma indiscussa di questa marca e il simbolo della Florida.
Probabilmente, ad aiutare l’ascesa della stilista nel mondo del Jet Set ha contribuito anche il fatto che una delle sue più grandi estimatrici era la ex sua compagna di scuola, Jackie Bouvier, al secolo Jaqueline Kennedy.
I gruppi facebook di Historical Florida pubblicano continuamente fotografie d’epoca della First Lady in visita al negozio Lilly Pulitzer di Palm Beach o di Key West, che non mancava mai di visitare quando veniva a trascorrere le vacanze nella tenuta di famiglia a Palm Beach.


I vestiti di non salvarono la vita a Lilly solo metaforicamente, aiutandola ad uscire da un periodo buio della sua vita, ma la salvarono anche letteralmente.

Mentre raggiungeva Key West con la sua amica e socia Laura Clark, il loro aereo ebbe un’avaria e finirono nelle acque di Marathon, infestate dagli squali.
La sua amica non si perse d’animo, si levò la maglia dai colori sgargianti e la utilizzò per segnalare la loro presenza ai soccorsi.
La stilista, anni dopo, ricordò la storia sulle pagine di Vanity Fair, col sorriso sulle labbra – nonostante la gran paura che doveva aver auto al momento – affermando che, sebbene Laura desse merito del salvataggio ai colori accesi della maglia, lei era certa che fossero state notate di più per l’anatomia femminile in bella vista.

Nel 1969, improvvisamente, Lilly divorzia dal marito, si separa dalla sua socia che nel frattempo si era trasferita a Santa Barbara e si sposa con Enrique Rousseau, un cubano sfuggito alla crisi dello zucchero che si era reinventato come costruttore per le famiglie abbienti di Palm Beach, con cui passerà il resto della vita (di lui), abbracciando la filosofia di vita cubana, occupandosi lei stessa della casa, della cucina e degli affetti.
Ma gli anni ’80 non furono generosi con Lilly Pulitzer. La moda di Calvin Klein e Donna Karan diede un grosso colpo al business e nel 1984 dichiarò fallimento, facendo ritirare Lilly in pensione. Al suo funerale, nel 2013, la chiesa di Palm Beach era un tripudio di fantasie Lilly Pulitzer, in omaggio alla stilista.

Nel 1994 Bradbeer, presidente della Sugartown Wolrdwide e il suo socio Scott Beaumont acquistarono da Lilly la proprietà del marchio, un simbolo della loro infanzia. E, da allora, i colori di Lilly Pulitzer sono tornati a brillare addosso alle donne del South Florida, come simbolo delle vacanze, del mare e del divertimento e in negozi Lilly Pulitzer sono una macchia colorata nelle strade dello shopping delle più importanti città (almeno qui in Florida 😀 )

Se avete voglia di leggere l’articolo integrale di Vanity Fair, qui c’è il link
Se avete voglia di leggere qualcosa di più su quegli anni, in cui il jet set di New York si divideva tra la grande mela e Palm Beach, tra feste mondane, diete dimagranti e figli in collegio, vi consiglio la lettura de “I cigni della quinta strada” di Melanie Benjamin che ripercorre la vita di Truman Capote e delle icone di stile degli anni 50.

La ricetta del mese: Rotolo meringato ai frutti di bosco

Per restare in tema con l’estate, la freschezza e i colori (della frutta), vi consiglio un dolce davvero MOLTO interessante.

Intanto, potete utilizzare albumi che avete congelato, avanzati da altre preparazioni. In più, può essere fatto in meno di un’ora, riposo escluso, e, in mancanza di tempo o di manualità può essere assemblato in una pirofila. La base della ricetta viene da un bestseller di Ottolenghi, ma ho riadattato la ricetta levando gli ingredienti troppo esotici e sostituendo ai soli lamponi un mix di frutti di bosco.

Rotolo Meringato ai Frutti di Bosco

Per la meringa

  • 4 albumi d’uovo (circa 120g, ma pesateli e fate il doppio di zucchero)
  • circa 250 g di zucchero, pesate gli albumi e regolatevi
  • 1 cucchiaino di estratto di vaniglia
  • 1 cucchiaino di aceto bianco o di cremor tartaro
  • 1 cucchiaino di amido di mais

Ripieno

  • 100 g di mascarpone
  • 2 cucchiai di zucchero a velo
  • 400 g di panna da montare fresca
  • 200g di frutti di bosco misti o lamponi

Accendere il forno a 315F o 150°C statico
Coprire il fondo e i bordi di una teglia per dolci (33×24) con carta forno. Per farla aderire meglio, bagnatela con acqua calda, strizzatela e spianatela sulla teglia. Non serve imburrare, al massimo potete spruzzare con un velo di staccante per torte.
In una ciotola ampia e perfettamente pulita cominciare a montare gli albumi, quando iniziano a essere sostenuti , unire lo zucchero a cucchiaiate, l’aceto o il cremortartaro e la maizena, poco alla volta, continuando a montare, finché non si ottiene una meringa lucida e compatta.
Usando una spatola a gomito o il retro di un coltello da pane, stendere la meringa sulla teglia preparata in un rettangolo in più possibile uniforme.

Cuocere in forno per 30 minuti, finché si forma una sottile crosticina e la meringa è abbastanza cotta. Ad una leggera pressione sarà comunque ancora morbida ma asciutta. Controllate che non prenda troppo colore, deve restare più bianca possibile.
Togliere dal forno e lasciarla raffreddare per circa 10 minuti nella teglia.
Rovesciare la meringa fredda su un foglio di carta-forno pulito, e togliere delicatamente la carta-forno usata per cuocerla.

Nel frattempo preparare la crema.
Versare il mascarpone in una grossa ciotola, insieme allo zucchero a velo e iniziare a lavorarlo con le fruste. Piano piano aggiungere la panna a filo e continuare a montare
Controllare attentamente che non monti troppo, altrimenti la miscela si trasforma in burro, deve essere una crema sostenuta ma ancora lucida.

Spalmare 3/4 della crema sulla base di meringa, spargere i frutti di bosco sulla crema e, aiutandosi con la carta da forno, arrotolate lungo il lato più lungo.
Formare una caramella e avvolgerla in alluminio. Mettere in frigo per circa un’oretta almeno.
Scartare il rotolo, con molta attenzione appoggiarlo sul piatto di portata e, aiutandosi con un sac a poche, decorare la superficie con ciuffi di crema e frutti di bosco.
Lasciare in frigo fino al momento di consumarlo.

Se si vuole saltare la parte del rotolo, è sufficiente tagliare la lastra di meringa in 3 sezioni grandi come la vostra pirofila di servizio, coprire il fondo col primo strato, mettere crema e frutta, di nuovo meringa, un altro strato di crema e frutta, meringa e decoro. Lo strato centrale potete farlo con le porzioni di meringa che restano dopo aver tagliato le due lastre esterne a misura della pirofila.

Note:
E’ un dolce che rende meglio fatto e consumato in giornata, visto che la meringa tende a ammorbidirsi. Non lasciate passare più di 3-4 ore tra la preparazione e il consumo, per un risultato ottimale. Gli avanzi sono comunque buonissimi anche il giorno dopo, rispetto al meringato comune non rilascia acqua in frigo.

Come dicevo prima, è un dolce che permette anche di consumare l’eccesso di albumi da altre preparazioni, non richiede molti ingredienti strani, a parte il mascarpone.

Potete sostituire i frutti di bosco con qualsiasi altra frutta, anche una macedonia non acquosa: mango, fragole, pesche sode, giusto per menzionare le prime che mi vengono in mente.

Quello nella foto è, ovviamente, il mio. Giusto per non far venire ansia da prestazione a nessuno, è un dolce che non richiede nessuna precisione, la meringa tende a crepare durante l’arrotolamento. L’aspetto resta rustico, ma piace davvero a tutti

Enjoy!

Elena, Florida


Road Trip “Sognando la Florida”

Gli Stati Uniti d’America sono la partita dei Road Trip, o degli On The Road come preferiamo chiamali noi italiani.

Ma il senso del viaggio non cambia; si prenota il volo, si noleggia l’auto e iniziamo a sognare, già prima di partire.

Il classico Road Trip è quello nei parchi dell’ovest, dove si uniscono i Parchi Nazionali ad alcune delle città più famose come Las Vegas, Los Angeles o San Francisco, ma anche la costa est ha tanto da offrire.

Senza dimenticarci ovviamente New York City, Boston o Washington D.C. giusto per nominare alcune città, ma scendendo più a sud inizia una parte degli USA tra le più affascinanti e ricche di storia, dove sono nati generi musicali esportati in tutto il mondo e dove si raccontano storie infinite sulle radici stesse di questo immenso paese.

Le 13 colonie che oggi sono rappresentate dalle storiche colorate della bandiera americana, hanno visto la luce nella costa est e non poteva essere diversamente visto che gli europei sbarcavano qui prima di iniziare la conquista del Vecchio West.

Poi è arrivata la Route 66 e tuo ha preso un gusto diverso.

Ma torniamo per un attimo in Florida per un Road Trip che si snoda nel centro sud dello stato, dove le distanze sono più contenute e le attrazioni sono variegate: spiagge orlate di palme, mare cristallino, vivace vita notturna e parchi divertimento.

In questo Road Trip, viaggeremo anche alla scoperta di foreste tropicali, fiumi, paludi, spiagge vergini e selvagge, isole ricche di Natura e tanta storia.

Miami, le Everglades e Orlando, insieme a Tampa diventeranno indimenticabili ricordi, insieme a Key West resa famosa dallo scrittore Hemingway e dai sui gatti unici al mondo che abitano ancora oggi nella casa dello scrittore adibita a museo.

Un viaggio indimenticabile di cui vi racconto tutto in questo link, compresi luoghi dove mangiare e vivere emozioni uniche!

Badlands National Park, South Dakota: le “Mako Sica”, “terre impervie” degli Oglala Lakota

“Ero totalmente impreparato a quella rivelazione nel Dakota chiamata Bad.. Lands.

Quello che ho visto mi ha dato un indescrivibile senso di misterioso altrove: un’architettura lontana, eterea… un infinito mondo soprannaturale più spirituale dell’universo terrestre, eppure creato da esso.”

(Frank Lloyd Wright)

Le impressioni che il famoso architetto e designer americano ebbe durante la sua prima visita delle Badlands rendono a pieno l’idea delle emozioni e delle esperienze che questo affascinante e remoto parco nazionale statunitense, situato nel cuore più selvaggio del South Dakota, è in grado di regalare ai suoi visitatori.

Territorio ancestrale degli Oglala Lakota, la fiera nazione nativa che lo popolò da tempi antichissimi e che gli conferì per prima il nome di “Mako Sica”, ovvero “terre cattive”, per via dei suoi luoghi aspri, infruttuosi e selvaggi, e di conseguenza dimora designata di leggende, spiriti e divinità di un universo lontano, divenuto oggi uno dei paesaggi più emozionanti e suggestivi del South Dakota.

Provate ad immaginare rocce fossili, calanchi e pinnacoli color cipria che col passare delle ore del giorno assumono le più incredibili sfumature di rosa, beige ed oro, raggiungendo il loro apice al tramonto, ed ancora praterie e vallate con un’incredibile storia ed evoluzione geologica, e poi loro, i veri grandi protagonisti del parco, i maestosi bisonti, le antilopi, i prairie dogs, simpatici cani della prateria, i furetti dai piedi neri, le longhorn sheeps le imponenti pecore dalle lunghe corna, e tante altre specie uniche.

Un sito dal profondo valore storico, naturalistico, paesaggistico e geologico che da solo merita un viaggio tra North & South Dakota, nel Great American West!

Badlands National Park, South Dakota: cosa vedere e fare

Il Badlands National Park si sviluppa su quasi 1000 km2 ed è suddiviso in due sezioni distinte.

La North Unit, gestita direttamente dal National Park Service, è la parte più visitata con la Badlands Loop Scenic Byway, la Badlands Wilderness Area ed i migliori trail e sentieri escursionistici, mentre la South Unit, o Stronghold District, più a sud, che include il Red Shirt Table, il punto più alto del parco, è ad oggi ancora inglobata nella Pine Ridge Oglala Reservation e gestita direttamente dagli Oglala Lakota. E’ importante sapere che in quest’area non ci sono sentieri escursionistici né i servizi di un parco nazionale, le strade non sono asfaltate ed i percorsi da effettuare sono molto più impervi ed accidentati. Occorre quindi prestare molta attenzione ed avere un’adeguata preparazione fisica ed organizzativa nel caso si decida di esplorarla.

L’accesso alla North Unit si trova a ridosso della I 90, su cui ha due ingressi distinti, The Pinnacles Entrance, nei pressi della cittadina di Wall, uscita 110, e la Northeast Entrance, all’uscita 131.

Se invece si proviene dalla Pine Ridge Reservation e dalla South Unit, allora il consiglio è quello di imboccare a Scenic l’Hwy 44 ed entrare nel parco attraverso – consigliatissimo un stop qui – il Ben Reifel Visitor Center.

La Badlands Loop Scenic Byway è la Scenic Route che in circa 45 km attraversa buona parte della North Unit da Pinnacle Entrance alla Northeast Entrance, toccando tutti gli overlook – come il Big Badlands Overlook, l’Homestead Overlook ed il Pinnacles Overlook – e gli accessi ai trail.

Tra i trail da non perdere: Door Trail,Window Trail, Notch Trail, Castle Trail, Cliff Shelf, Saddle Pass, Fossil Exhibit Trail e Medicine Root Loop.

La Bandlands Loop Scenic Byway è percorribile in auto, con brevi soste agli overlook, in un paio d’ore circa. Ma se si vuole godere a pieno della magia, dei trail, delle esperienze e degli “incontri” che il parco è in grado di offrire, allora il consiglio è quello di prevedere almeno un paio di pernottamenti, tra la cittadina di Wall ed il Cedar Pass Lodge, che si trova all’interno del parco, alle spalle del Ben Reifel Visitor Center, per vivere l’intera area all’alba ed al tramonto (i momenti più suggestivi) e per riuscire ad ammirare bisonti, pecore longhorns ed altri animali che, soprattutto nei mesi più caldi, tendono ad uscire dalle radure proprio ad inizio e fine giornata, quando le temperature si fanno più miti.

Il Badlands National Park è aperto tutto l’anno – verificate sempre sul sito ufficiale gli orari di apertura e chiusura in base alle stagioni ed alle condizioni meteo – ad eccezione del Thanksgiving Day, Natale ed il primo giorno dell’anno.

L’accesso è incluso nel pass America the Beautiful, diversamente il costo per auto è di 30$.

Per ulteriori informazioni in merito alla visita del Badlands National Park e dei suoi dintorni vi invito a leggere – cliccando qui – un articolo-guida estremamente dettagliato utile ad organizzare al meglio la vostra visita e a saperne qualcosa di più sulla fiera cultura nativa originaria proprietaria dell’intero territorio, gli Oglala Lakota.

Simona Sacri Travel Writer

John Henry – Un eroe americano

Ogni civiltà antica, ha una propria mitologia in cui si avvicendavano Dei, semi-dei, eroi. Ma gli Stati Uniti? Può un Paese nato solo da pochi secoli aver creato dei personaggi mitici? Sì, anche se forse è più corretto parlare più di folklore che di mitologia, anche gli Stati Uniti hanno creato alcune figure eroiche e leggendarie legate soprattutto alla loro nascita e ai loro valori. Ad esempio Paul Bunyan, Johnny Appleseed, Pecos Bill e John Henry.

Chi era John Henry

John Henry è uno degli eroi più noti del folklore americano, o meglio del folklore afro-americano. Era un uomo di colore che visse in schiavitù sin dalla nascita e che acquisì la libertà solo al termine della guerra civile.
Una volta libero trovò lavoro come “steel driver”, uno di quegli operai che dovevano spingere con un grande martello delle punte di acciaio nelle rocce per poter inserire delle cariche esplosive per la costruzione di gallerie sotto le quali far passare la linea ferroviaria. John Henry era adatto a quel lavoro perché era uno degli uomini più forti al mondo e fu era di grandissimo aiuto per le compagnie ferroviarie che in quei tempi costruivano sempre più ferrovie per unire l’est all’ovest.

John Henry, che divenne celebre per sua forza, dedizione al lavoro e anche per il suo martello, contribuì a costruire lunghi tratti di ferrovia ma un giorno dovette fermarsi ai piedi di una montagna. I responsabili della rete ferroviaria valutarono il da farsi. Sarebbe stato troppo costoso aggirare la montagna e decisero di passarci attraverso scavando una galleria sotto la quale far passare la ferrovia. John non si tirò indietro e iniziò a scavare a mani nude per oltre un miglio seguito dai suoi compagni molti dei quali purtroppo morirono per la fatica.
Quando arrivò a metà galleria, un signore ben vestito si presentò alla compagnia ferroviaria alla quale propose la vendita di una una perforatrice a vapore, una nuova macchina rivoluzionaria, precursore del moderno martello pneumatico.
“Questa macchina,” disse “può fare il lavoro di ben 12 uomini”.

John ebbe la sensazione che la macchina avrebbe potuto sostituire i lavoratori nel prossimo futuro rendendoli disoccupati o senzatetto e sarebbe stata un bel guaio per i suoi compagni che avevano da poco conquistato la libertà. Si discusse sull’utilità di una macchina perforatrice e su quella della forza umana e venne proposta una sfida: Se John fosse riuscito ad uscire dall’altra parte della montagna prima della macchina perforatrice, il proprietario la avrebbe regalata alla compagnia ferroviaria.
La sfida fu dall’esito incerto e durò per molte ore. Tutti aspettavano con ansia dall’altro lato della montagna, curiosi di chi fosse uscito per primo.

Ma a un certo punto la macchina si fermò. Gli altri lavoratori che avevano visto cedere gli ingranaggi della macchina corsero in avanti per andare a dire a John di fermarsi perché aveva vinto la sfida ma le polveri alzate dal lavoro incessante dello stesso John gli impedirono di raggiungerlo. John continuò a scavare fino ad uscire dall’altra parte accolto dalle grida di gioia dei suoi compagni. Una volta fuori, però, il cuore di John cedette e cadde a terra stremato. Morì poco dopo con il martello ancora nella sua mano.

Torno a vivere in America

In Nebraska c’è un villaggio di un solo abitante

Negli anni ’30, Monowi era una vivace cittadina del Nebraska con 150 abitanti, ma dal censimento del 2000 la popolazione risultava essersi ridotta a sole due persone: i coniugi Rudy ed Elsie Eiler.

Essi resistettero nell’area dopo che i giovani si dispersero altrove in cerca di lavoro e di altre opportunità.

Sfortunatamente, l’uomo morì nel 2004 lasciando la moglie l’unica residente.

Elsie Eiler, oggi 87enne, è la proprietaria della sola attività privata della città, la Monowi Tavern, che gestisce da 50 anni.

Dopo la morte di Rudy, la donna ha fondato anche una piccola biblioteca di 5000 volumi intitolata al suo defunto marito.

Oltre al suo ruolo di barista e bibliotecaria, Elsie è anche sindaco della città.

La donna deve pagarsi le tasse, rinnovare a se stessa una licenza per gli alcolici e produrre un piano stradale annuale per garantire i finanziamenti per i quattro semafori di Monowi.

La cittadina si trova a 4 miglia dal confine del South Dakota e a 60 miglia dal Walmart più vicino, circondata da strade sterrate che si snodano attraverso terreni agricoli.

Monowi è stata fondata nel 1902 e la sua economia si basava sull’agricoltura e sull’allevamento, ma la modernizzazione nel settore agricolo e la chiusura della ferrovia nel 1978 hanno accelerato il suo declino, costringendo i residenti a trasferirsi altrove in cerca di lavoro.

Elsie trascorre il suo tempo tra soli tre edifici: la casa, la taverna e la biblioteca di Rudy.

La maggior parte dei clienti del locale proviene dalle città vicine: operai edili, vigili del fuoco e agenti di polizia che si fermano ogni settimana per controllarla e scambiare due chiacchiere con lei.

Un cliente abituale è lo sceriffo della contea di Boyd: “Insieme ad altre forze dell’ordine della zona, veniamo qui una volta al mese e teniamo una riunione di informazioni tra le contee, invitando diverse persone ad unirsi a noi per discutere di cosa dobbiamo fare e su cosa succede”.

Il cibo e le bevande della taverna non sono cambiati da decenni, e nemmeno i prezzi: hamburger ($ 3,50, più 25 centesimi per il formaggio), hot dog ($ 1,25), palline di formaggio fritte ($ 4).

Durante i periodi di maggiore affluenza, specialmente con i cacciatori durante la stagione di caccia al cervo, gli amici di Elsie non esitano a saltare dietro il bancone per darle una mano.

Molti dei suoi clienti sono perfetti sconosciuti, viaggiatori che hanno conosciuto Monowi su internet e che vengono da tutte le parti del mondo solo per incontrarla e fotografare l’iconico cartello stradale ai margini della città con la scritta: MONOWI 1.

Donuts: curiosità per tutti i gusti!

Sia che siate stati negli States, sia che non ci siate mai stati, non potete non conoscere (e non amare) i donuts 😃

I golosissimi donuts, le famose ciambelle americane fritte e glassate, possono essere considerate uno dei cibi più iconici della cultura e della pasticceria statunitense 🙂

Colorate, goduriose, dai mille topping, i donuts sono uno dei comfort food per eccellenza del popolo americano e uno dei dolci americani più celebri.

Le classiche ciambelle col buco sono caratterizzate da una pastella di farina, lievito, uova, latte, zucchero e olio, fritta e ricoperta di zucchero o glassa…

Ma i donuts esistono in moltissime varianti differenti: infatti possono essere ricoperte di cioccolato o avere topping diversi, farcite con marmellata, crema o panna, o addirittura preparati nella versione salata e in versioni ancora più bizzarre come i confettosi Bubblegum Donuts o persino quelli alcolici che si gustano su bicchierini ripieni di liquore!

Insomma ce n’è per tutti i gusti! 😃

Per i viaggiatori appassionati l’associazione con il marchio Dunkin’Donuts o l’inconfondibile insegna verde e rossa di Krispy Kreme sarà immediata, per i fan della fortunata sitcom animata “I Simpson” questi anelli dolci saranno sempre le “ciambelle di Homer”, ma la storia dei dolcetti ha origini ben più antiche, in parte ancora avvolte nel mistero.

Infatti, incredibile ma vero, queste colorate e ipercaloriche ciambelle sono in realtà di origine olandese. Lo sapevate?

Questa è solo una delle diverse curiosità che si nascondono dietro questo famoso dolce naturalizzato americano, ne potete trovare tante altre nell’articolo a loro dedicato: gli aneddoti e i cenni storici su questo cibo iconico vi sorprenderanno di sicuro! 😉

Lots of love & enjoy the reading!

Morena

Un supermercato può cambiare la vita

Gli Stati Uniti sono ricchi.

Gli Stati Uniti sono i grattacieli sfavillanti delle metropoli, le decorazioni natalizie di questo periodo, la gente che fa la coda nei negozi e nei supermercati per preparare i cibi delle feste.

Gli Stati Uniti sono il paese delle possibilità.

Un mio follower sotto un mio post ha scritto “ È uno degli elementi straordinari  degli USA. Puoi vivere al freddo e poi se ti stufi trasferirti al caldo. Ovviamente lavoro permettendo. Ma si sa, negli Stati Uniti è quasi tutto possibilie”.

Sembrerebbe il paese di Bengodi, quello descritto da Boccaccio, il paese dell’abbondanza.

Per molti lo è.

Per tanti lo può diventare.

Per altri non lo sarà mai.

Questi cittadini di serie B sono tantissimi, nascosti nelle zone povere delle grandi città, quelle dove i turisti non arrivano, o che vivono nelle sterminate lande degli Stati, che magari si attraversano nei Coast to Coast che tanto fanno chic in questo periodo, ma che non si vedono veramente.

E non parlo neanche degli homeless, che purtroppo anche a causa del Covid si sono moltiplicati nelle grandi città.

Parlo dei milioni di persone a cui il luogo dove sono nati non dà le stesse possibilità di chi è nato in un posto differente

E a fare la differenza tra spiccare il volo o avere una vita di malattie e povertà a volte è la presenza o no di un supermercato.

Vi vedo, penserete: che sta a dire questa? Magari ridete pure.

Anche a me sembrava impossibile.

Poi mi è successa una cosa bellissima, che mi ha cambiato la vita e mi ha fatto capire moltissimo di questa società dai contrasti estremi.

Su questo argomento ho scritto un post per il mio blog, che vi ripropongo ora per USA Coast to Coast.

È un post che è stato letto e condiviso da molti e ne sono felice perchè è un argomento che mi sta particolarmente a cuore.

Mi auguro che lo portiate nel cuore anche voi

Claudia, un’Alessandrina in America

TX is changing: POV su uno stato che sta cambiando velocemente

Da diversi anni l’immigrazione interna negli Stati Uniti rappresenta un fattore di grande impatto politico, sociale ed economico. Negli ultimi due anni poi è stato un vero boom dovuto alla pandemia che ha rimescolato le carte in un modo imprevedibile, e forse anche impensabile prima della primavera 2020.

I 5 stati he stanno raccogliendo la maggior parte delle persone che hanno deciso di cambiare in qualche modo la loro vita sono l’Arizona, iI North Carolina, il Colorado, la Florida e il Texas. Queste persone si stanno spostando per svariati motivi come una fiscalità meno pesante, un costo della vita più sostenibile o la scelta (spesso per motivi simili) fatta dale aziende dove lavorano di spostare le loro sedi altrove.

Di contro gli stati che stanno perdendo il maggior numero di residenti sono tra gli altri New York, California, New Jersey… Mete che ancora fanno gola a tanti immigrati che arrivano da altre nazioni.

Non serve essere dei grandi esperti degli USA per sapere che tradizionalmente questi stati e i loro abitanti hanno spesso posizioni e tradizioni differenti, se non opposte, a quelle degli stati dove si stanno muovendo.

Questo, come dicevo genera, un grande cambiamento che è sotto gli occhi di tutti e che si palesa sotto tanti aspetti quotidiani. Dalla carenza delle case a disposizione, al cambio di politica in alcune città, contee, e anche a livello statale. Talvolta questo appare in totale contrasto con quelle che sono scelte a volta diametralmentre opposte prese quasi a rinforzare lo status quo di chi ha visto per tanti anni (alle volte decadi) una sorta di status quo che non era stato minato.

Si sta creando una situazione di forte cambiamento dove chi si muove sceglie uno stato che sta completamente cambiando e che nel futuro prossimo probabilmente subirà in realtà ancora più cambiamenti. Ovviamente sperando che a prevalere siano i pregi esistenti e una spinta positive portata dei nuovi immigrati.

Come il Texas sta cambiando dopo la pandemia

Il Texas, anche prima di questi cambiamenti, era uno stato, secondo me abbastanza sorprendente, almeno agli occhi di tanti italiani, che hanno spesso lo stereotipo del cowboy e dei pozzi di petrolio. Mentre ci sono tra le altre cose bei musei d’arte, tanta  industria tecnologica, una natura che passa dalle zone desertiche alle foreste, dalle coste ai canyon, o città un po’ “hippie” come la capitale Austin e non solo le campagne ancora tradizionaliste. 

Un interessantre approfondimento è nel capitolo dedicato al Texas nel libro di Francesco Costa “Questa è l’America”. Se, invece, siete curiosi di leggere qualcosa in più su come ho visto cambiare la cittadina del Texas dove vivo vi rimando a questo mio post:

Almost 10 years in Tyler… a lot has changed

Valentina, Parole Sparse: un’italiana in Texas

Scegliere il College in America, un percorso che inizia dalla nascita

Siamo giunti a fine novembre, e per i ragazzi dell’ultimo anno della High School qui in America è ormai arrivato il tempo di tirar le somme e decidere dove applicare per continuare il proprio percorso di studi al College. Io sono un po’ arrugginita su cosa fare per iscriversi all’Università in Italia, e qui sto cercando di capire il più velocemente possibile per cercare di aiutare mia figlia che deve decidere e stiamo imparando insieme come muoversi. C’è da dire che qui i ragazzi sono molto supportati dalla scuola nei vari passi da percorrere per arrivare alla decisione finale (che comunque vedremo più avanti potrebbe anche non essere quella definitiva…) grazie alla presenza di counselors che li seguono e li spronano a migliorare il curriculum, che servirà ai College per accettare o meno la candidatura.

Fonte: Unsplash

Il curriculum viene costruito a partire dal 9° anno di scuola, quindi dal primo anno di High School che in USA dura 4 anni, ma già alle medie i ragazzi vengono incoraggiati a muoversi sempre più in autonomia. Vengono infatti educati dagli insegnanti a confrontarsi direttamente con loro evitando l’intercessione del genitore inviando email per richiedere, ad esempio, la possibilità di poter ridare un test in caso di voto non dei migliori. Proprio seguendo questa falsa riga, infatti, la counselor della scuola di mia figlia ha inviato ai ragazzi, e a noi genitori in copia, un’email ad inizio anno dove vietava assolutamente da parte nostra di chiamarla o inviare emails relative alle applicazioni per i College.

La scuola superiore frequentata dalle mie 2 figlie maggiori (una Senior per l’appunto, e una Sophomore che quindi frequenta il 10° grado – il nostro secondo anno) è una scuola internazionale, dove nel corso del secondo biennio si frequenta l’IBDP, cioè l’International Baccalaureate Diploma Programme un corso riconosciuto a livello mondiale per potersi iscrivere nelle università di quasi tutto il mondo senza dover sostenere corsi e esami integrativi. Gli studenti studiano 8 materie (TOK – Teoria della Conoscenza – simile alla nostra filosofia -, Matematica, Storia, Letteratura, Lingua straniera, Scienza, Materia artistica, e una materia aggiuntiva a scelta), per alcuni dei quali sostengono gli esami finali al termine dei 2 anni a maggio.

Allo studente viene richiesto di sceglierne almeno 3, e mai più di 4, da studiare a livello superiore (HL) e le rimanenti a livello standard (SL). La scelta viene abbastanza naturale seguendo il voto che si ha in ciascuna materia, come era per noi la scelta delle materie da portare all’orale alla nostra maturità (naturalmente con questa frase mi rivolgo ai matusa come me che hanno dato l’esame valutato ancora in 60esimi, e si sperava che le materie estratte per l’orale fossero tra le nostre top four…).

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ACT e SAT: i test attitudinali per l’ingresso al College

Quando si sottomette la domanda di iscrizione al College, fino a qualche anno fa uno dei requisiti fondamentali era quello di aver passato con un buon voto un esame chiamato SAT (Scholastic Assessment Test), un test basato sulla conoscenza di matematica, grammatica e comprensione del testo. La scuola fornisce ancora l’opportunità ai ragazzi di sostenere il test una volta gratuitamente, ma ogni studente può affrontarlo più volte (a pagamento) e verrà utilizzato il voto migliore. Un altro test considerato da alcuni College si chiama ACT che è più focalizzato sulla conoscenza della lingua inglese. Qui potete capire la differenza tra SAT e ACT.

A questo punto è possibile sottomettere la domanda di iscrizione (a pagamento) a diversi College e sperare in quante più risposte positive… perchè? Per poter avere quanta più scelta possibile per poter finalizzare l’iscrizione. Solitamente gli studenti, sulla base delle loro ambizioni (e i genitori sulla base del loro budget), stilano una lista dei College papabili includendo quelli teoricamente inarrivabili (ma la speranza è sempre l’ultima a morire, no?!), quelli accessibili, e quelli di back up in caso di risposte negative, incluso il Community College, soluzione più economica ma meno prestigiosa.

Come ho già detto in un articolo precedente, gli studenti oltre al curriculum scolastico, che può dare loro accesso a borse di studio per meriti accademici, possono anche ambire a ridurre di molto la rata di iscrizione grazie a borse di studio per meriti sportivi partecipando con successo ai vari Varsity Team.

Perchè allora nel titolo ho scritto che il percorso inizia fin dalla nascita del bambino, visto che sto parlando solo degli ultimi 2 anni della scuola superiore? Beh, perchè andare al College in America può essere molto costoso e la maggior parte delle famiglie americane inizia ad accantonare soldi per l’iscrizione dei figli al primo test di gravidanza positivo, oppure… questo lo spiegherò meglio il prossimo mese, perchè ora vado con mio marito a spulciare tutte le offerte di finanziamento a tasso 0 per cercare di far frequentare un college a mia figlia (che non essendo cittadina americana non può lavorare come fanno tutti i suoi coetanei per potersi pagare gli studi…)

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Alla prossima!

Chiara, Michigan