Storia del Peanut Butter

Uno degli alimenti più amati in assoluto dagli americani è il burro di arachidi. Al pari della nostra Nutella, è il comfort food dei momenti bui, è lo snack al volo, è la merenda preparata dalla mamma al ritorno da scuola.

Partite dal Sud America, Perù o Brasile, le origini sono incerte, le arachidi arrivarono in Spagna e, da lì, furono portate dagli esploratori in Asia e in Africa. Furono proprio gli schiavi africani, nel 1700, a introdurre nel Nord America quello che sarebbe diventato l’ingrediente principale dell’alimentazione di militari e bambini.
In un primo tempo venivano coltivate solo in Virginia, e utilizzate per produrre olio, come snack e come sostituto del cacao, ma la raccolta a mano, molto difficoltosa, ne limitava l’estensione commerciale. Piano piano, durante il 1800, la loro popolarità crebbe, grazie ala diffusione in fiere di paese, circhi e nelle partite di baseball, si sviluppò un metodo di coltivazione, raccolta  e pulizia che ne permise una più facile commercializzazione.

Tuttavia, la svolta avvenne nel 1900, quando il Dr. George Washington Carver introdusse il concetto di rotazione dei raccolti. Nato in schiavitù, in seguito alla sua liberazione gli fu permesso di studiare e divenne il primo afroamericano, nel 1894, ad ottenere una laurea in scienze.  Il Dr. Carver spese tutta la sua vita girando per le piantagioni e insegnando agli ex schiavi a coltivare in modo più efficiente i campi ed a affrancarsi dalla tirannia dei campi di cotone. Durante i suoi studi si accorse che ruotare le coltivazioni, alternando cotone e arachidi, permetteva di avere risultati migliori e non impoverire il suolo, ottenendo comunque prodotti di valore commerciale interessante.

Workers harvest peanuts for Rick by U.S. Department of Agriculture is licensed under CC-CC0 1.0

Nel frattempo, infatti, il Dr. Kellogg (quello dei cereali) aveva brevettato un nuovo “alimento” da utilizzare nelle sue famose (o famigerate) cliniche della salute. Riprendendo una lavorazione propria già delle popolazioni precolombiane, bollì e tritò le arachidi, in modo da ottenere una pasta commestibile da servire presso il suo Battle Creek Sanitarium, una Spa in cui si promuoveva la pulizia del corpo e dello spirito, attraverso una purificazione mentale e fisica ai limiti della tortura.

Peanut Butter & Jelly (P&J)

Grandi nomi passarono dalla clinica del Dr. Kellogg, portando alla ribalta la sua pasta di noccioline e, in breve tempo, le riviste per le casalinghe americane suggerirono di creare a casa il meraviglioso peanut butter del Dr. K. La stessa ingegneria industriale sviluppò macchine che permettessero la produzione di burro di noccioline su larga scala e l’industria alimentare si prodigò per migliorare la stabilità della pasta. Infatti, lasciato riposare, il burro di arachidi si separa in una fase solida e una fase oleosa, ma, nel 1921, si provò a adottare la pratica dell’idrogenazione dei grassi (già usata nelle margarine) con grandissimo successo.
Il vero momento di gloria del burro di arachidi si ebbe durante la Prima Guerra Mondiale, quando razioni di peanut butter arrivarono a sostenere i militari americani in giro per il mondo e il suo contenuto di grassi e proteine lo rendeva adatto a rinforzare l’alimentazione di tutta la popolazione.
Anche perché, nel frattempo, nel 1920, un’altra invenzione aveva permesso al peanut butter di avere ancora più successo, cioè il pane in cassetta confezionato a fette: adesso anche i bambini potevano preparare da soli il loro P&J sandwich. Due fette di pancarrè con in mezzo gelatina di uva e burro di noccioline, il panino ancora presente nelle lunchbox di gran parte degli americani di tutte le età.

Spesso l’unico cibo disponibile, il P&J sandwich aiutò i soldati americani durante la seconda Guerra Mondiale e nutrì i bambini durante la Grande depressione. Oggi è ancora il cibo preferito da tutti, e si trova morbido o crunchy (cioè con pezzi croccanti dentro, all’interno dei cioccolatini più amati, nei biscotti, in tantissime ricette della cucina Thai che qui amano particolarmente ed è possibile prepararselo da soli al supermercato, utilizzando dei piccoli mulini messi a disposizione per i clienti, con cui macinare il proprio blend di arachidi, cioccolata e mandorle.

Nessun altro popolo consuma così tante arachidi e, per gli americani, mangiare burro di arachidi significa “essere a casa”.

Il burro di arachidi, oltre che consumato in purezza o nel P&J sandwich, è un ingrediente usatissimo in pasticceria e nei piatti salati. La ricetta che vi propongo è la versione americana del Pollo Satay thailandese. Lungi da essere “integralista”, fa parte di tutta una serie di contamizioni della cucina straniera che agli americani piace tantissimo e indigna (solo) noi italiani.

La ricetta del mese: Pollo Satay

Grilling chicken skewers by Jakub Kapusnak is licensed under CC-CC0 1.0

Per 20 spiedini di pollo:

1 kg di sovraccosce di pollo o petto, tagliati in striscioline

Per la marinata:
 2 vasetti di yogurt bianco
1 cucchiaio di curry in polvere o di pasta red curry thailandese
1 cucchiaino di tabasco
1 scalogno tritato
2 cm di zenzero fresco tritato
due spicchi piccoli  di aglio tritati
un pizzico di sale

Per la salsa:

1 cucchiaio di olio
1cucchiaio di curry o di pasta di red curry thai
1 scalogno tritato
2 cm di zenzero fresco tritato
due spicchi piccoli  di aglio tritati
300g di burro di noccioline cremoso
125ml di latte di cocco denso
una tazzina da caffè di salsa di soia (circa 60g)
succo di 2 lime
un pizzico di peperoncino
125ml di acqua calda (da regolare)
un cucchiaio di zucchero di canna
un pizzico di sale- coriandolo in foglie (o prezzemolo, se non lo sopportate) per guarnire

Mescolare tutti gli ingredienti per la marinata in un sacchetto da freezer o in una piccola ciotola che possa contenere anche il pollo.
mescolare il pollo alla marinata e lasciare riposare per almeno 2 ore o tutta la notte.

Preparate la salsa:

in un pentolino scaldate l’olio, poi aggiungete aglio scalogno e zenzero e fate rosolare. Aggiungete il curry, lasciate sprigionare il profumo.

Versate in un frullatore e aggiungete tutti gli altri ingredienti della salsa, ad esclusione del coriandolo. Frullate fino ad avere una pasta cremosa, aiutandovi con più o meno acqua calda.
versate in una ciotola, coprite e lasciate in frigo fino al momento di consumare.

Infilzate il pollo su spiedini di circa 15 cm (vanno benissimo quelli squadrati da cocktail) e grigliate sul grill o su una piastra di ghisa con le scanalature.
Preparate un grosso piatto da portata circolare. Al centro posizionate la ciotola con la salsa e attorno, a raggiera, gli spiedini ancora tiepidi, eventualmente appoggiandoli su foglie di lattuga croccante.
È un piatto che si presta bene nei buffet, perché resta ottimo anche a temperatura ambiente e non richiede posate.

Enjoy!

Elena, Florida

Al volante negli Stati Uniti

Guido negli Stati Uniti da quasi venti anni e ho notato alcune diversità rispetto alla modo di guidare in Italia. Potrei quasi affermare che anche il modo in cui si sta al volante può indicare alcune caratteristiche di un popolo. Premetto che ho guidato soprattutto in New England e alcune caratteristiche possono essere leggermente diverse in altri stati, anche se non credo lo siano più di tanto.

Ecco una lista di 11 particolarità o differenze con l’Italia:

1 – Donne e nonne al volante:

I primi mesi in America mi ha colpito da subito il numero delle donne al volante. Al mio paese del sud Italia non tutte le donne guidavano, quasi tutte guidavano ma c’era anche una piccola percentuale di donne che si facevano accompagnare ovunque dal fratello, dal ragazzo o dal marito e non avevano mai mostrato interesse a prendere la patente o acquistare un’auto. In Usa, almeno in Connecticut, invece il 100% comprese le “nonne”. Inizialmente mi ha meravigliato vedere vecchine di 80 anni anni e più che guidavano anche dei mastodontici 4×4. Mia nonna in Italia non ha mai guidato una macchina come tutte le nonne di tutti i miei amici.

2 – Drive-thru:

Sappiamo tutti che si può ordinare un hamburger restando comodamente seduti in macchina e abbassando il finestrino, ma mi ha stupito vedere che anche le banche hanno il drive-thru. E si può anche imbucare la posta, allungando il braccio, tramite mailbox ad altezza finestrino.

3 – Posti di blocco:

In quasi 20 anni di guida, la polizia non mi ha mai fermato ad un posto di blocco perché semplicemente non esistono posti di blocco come in Italia. Se dimenticassi la patente a casa penserei: va bene, sto attento, non faccio infrazioni e non avrò problemi. Qui ti fermano infatti solo quando commetti un’infrazione. L’idea che mi danno è “il cittadino è innocente fino a prova contraria” mentre in Italia l’idea è “il cittadino è colpevole a priori. Noi li fermiamo a campione, qualcosa che non va la si trova sempre”.

4 – Strisce pedonali:

Questo aspetto mi ha fatto sentire da subito nel mondo mieloso alla “Mary Poppins” perché gli automobilisti, sembra incredibile ma è vero, qui si fermano davvero appena il pedone mette il piede sulla prima striscia pedonale.

5 – Semaforo rosso, svolta a destra:

In alcuni stati, si può svoltare a destra anche se il semaforo è rosso.

6 – Incroci:

Esistono degli incroci senza semafori e la precedenza ce l’ha chi arriva prima. Ma anche qui la gentilezza regna sovrana. Se due automobilisti arrivano all’incrocio nello stesso istante è tutto un gesticolare di “passi pure”, “no si figuri, passi prima lei”. Ho assistito a delle scene in cui tutti gesticolavano a tutti e nessuno si muoveva.

7 – Immettersi in una strada principale:

Anche in questo caso, diversamente dall’Italia, ho rilevato più gentilezza. Ogni volta che devo uscire dal parcheggio di un negozio e immettermi in una strada principale, gli automobilisti che sono sulla strada principale rallentano per farmi immettere. In Italia nessuno si fermava e dovevo aspettare che non ci fossero macchina per poter riuscire ad immettermi.

8 – Sfanalamenti:

In 20 anni alla guida nessuno automobilista dietro di me mi ha mai sfanalato o suonato il clacson perché non andavo troppo veloce. In Italia basta fare un breve tragitto in autostrada e uno “sfanalatore seriale” prima spunta dietro.

9 – Bus scolastici:

Avete presente i bus gialli scolastici? Se sono fermi e fanno salire o scendere i bambini bisogna fermarsi in entrambe le corsie. A qualcuno vedendo che non ci sono bambini perché, sono già saliti o scesi dal bus, potrebbe venire l’idea di passare anche se molto lentamente. È una grave infrazione. Bisogna aspettare comunque che il segnale di stop del bus sia ripiegato al suo interno. Un mio ex collega venne fermato dalla polizia per questa infrazione e dovette intervenire il mio capo per toglierlo dai problemi. Lo avrebbero arrestato? Non lo so, ma sicuramente gli avrebbero fatto una multa ancora più salata.

10 – Polizia:

La polizia si può nascondere nei pressi dei semafori e se passi col rosso li vedi improvvisamente dal finestrino a sirene spiegate. Quando ti fermano hanno un tono severo. Una volta avevo superato di poco il limite di velocità e non me ne ero accorto. Dietro di me uscì dal nulla un’auto della polizia. Non pensando che stesse puntando a me mi spostai più a destra per farla passare e invece era proprio la mia auto che avevano puntato. Accostai, abbassai il finestrino e il poliziotto mi disse: “Which part of the flashlights you didn’t understand?” Mi fece una multa come previsto. Mi sembrò di essere in un film.

11 – Uscire dalla macchina se ti ferma la polizia:

Se ti ferma la polizia, mai scendere dall’auto! In Italia lo facevo ma in America l’automobilista deve restare seduto in macchina. Se aprisse la porta i poliziotti la considererebbero come una potenziale aggressione e non la prenderebbero bene…

Howard (La mia vita a stelle e strisce)

Little Island, il parco galleggiante nel cuore di Manhattan

Per chi ha gia’ visitato New York avra’ notato sicuramente, che lungo il fiume Hudson prendono parte tantissime attività della vita Newyorkese. 

I famosi Pier (moli) infatti sono luoghi di divertimento e svago. Troverete km di piste ciclabili, campi sportivi, attracchi dei traghetti, ristoranti e l’ultima grande novità aperta nel  Maggio del 2021 “Little Island

Little Island e’ un parco pubblico “galleggiante” disegnato da Thomas Heatherwick che si trova nei pressi del del Pier 55 sulla parte Ovest di Manhattan, all’altezza del Meatpacking district.

La struttura e’ davvero curiosa e molto particolare, sono stati piantati nell’acqua enormi piloni di cemento che sbocciano in 132 tulipani di altezze diverse supportando il nuovo parco pubblico. Ogni tulipano e’ diverso ,come forma, altezza e superficie. 

Un’altra particolarità’ del parco e’ che potrete fare una passeggiata naturalistica in mezzo a 114 alberi e 350 specie di piante volutamente diverse che si alterneranno a seconda della stagione. 

Nell’isola inoltre, c’e’ un piccolo anfiteatro con vista Jersey City, dove durante l’estate prendono parte moltissimi eventi musicali, teatrali e performance che spesso sono gratuite.

Noterete inoltre che i vecchi pilastri del Pier 54 sono rimasti intatti, nell’acqua, per non alterare l’habitat gia’ esistente.

Il parco e’ gratuito, e’ aperto tutti i giorni, la visita e’ poco impegnativa e vela  consiglio vivamente, potreste poi proseguire andando a magiare qualcosa al Chelsea market raggiungibile in pochissimo a piedi. Noi l’ultima volta avevamo voglia d’Europa e abbiamo fatto un brunch nel delizioso bistro francese Pastis.

Flaminia, New York

Coney Island: la New York retrò

“Se Parigi è la Francia, Coney Island, tra giugno e settembre, è il mondo” è la frase di George Tilyou che si leggeva sul grande murales che accompagnava verso il New York Aquarium. Ed è vero. Perché Coney Island non è solo una spiaggia uno stato mentale, un’atmosfera vintage, chiasso e meditazione, eccentricità e famiglie.

Con la sua immensa spiaggia di sabbia, il rumore delle onde e la brezza sul lungomare, Coney Island sembra un altro mondo rispetto alla frenetica Manhattan.

Nella stagione invernale, con le attrazioni chiuse, la quiete avvolge il lungomare, ma il fascino retrò di questo posto permane *_*

All’apice della sua fortuna prima della seconda guerra mondiale, Coney Island, una zona di mare sulla punta meridionale di Brooklyn, ospitava vari parchi di divertimento in competizione tra di loro. La località era molto amata dai newyorkesi che in estate, dopo una settimana di duro lavoro, nel week-end erano ben lieti di lasciarsi alle spalle la soffocante Manhattan.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, i parchi di divertimenti persero popolarità, a causa della spietata concorrenza del cinema e degli spettacoli di Broadway a Manhattan. L’isola venne abbandonata a se stessa. Dopo anni di decadenza la zona e il suo famoso parco divertimenti sono stati sottoposti ad una grande riqualificazione e alla sua rinascita.

Il Luna Park a ridosso sulla spiaggia è talmente vintage da essere assolutamente trendy. Cyclone, le immancabili montagne russe in legno, e la Wonder Wheel, la ruota panoramica, l’interminabile boardwalk, visti in mille film e serie tv, fanno fare un balzo indietro nel tempo *_*

L’oceano, in tutto questo, rimane quasi in secondo piano…

Coney Island è un altro di quei posti che sembra esistano solo al cinema, fino a che non ci arrivi e ti si parano davanti come un sogno hollywoodiano.

Anzi, newyorkese *_*

Oltre che per le giostre, la spiaggia, l’oceano, e quell’atmosfera vintage che la contraddistingue, i newyorkesi e i visitatori amano questa zona anche per la sua storia appassionante e per le tantissime curiosità la riguardano 😉

Ve le racconto qui 😉

Lots of love & enjoy the reading!

Morena

Ristoranti vegani a Miami

Gli Stati Uniti offrono la possibilità di mangiare cucine sempre differenti, nonostante al primo sguardo possano sembrare abbastanza uniformati sul loro territorio.

Certamente si trovano le stesse catene commerciali dall’Alaska alla Florida, dal Maine alla California. Si può mangiare una fetta di pizza di Pizza Hut a New York come a Jemez Springs, New Mexico, un panino di Chick-fil-A a Milwaukee come a Detroit.

Ci sono però diverse connotazioni regionali, certi cibi che si trovano al Sud e qui negli Stati del nord diventano un’eccezione, o viceversa.

E ci sono tantissime cucine di paesi esteri, riproposte dagli immigrati che come un melting pot, hanno creato la popolazione di questo gigantesco paese.

Potremo anche affermare, storcendo il naso, che la cucina italo-americana non è quella italiana verace, come non esiste in Giappone il California Roll con il cream cheese, o in Messico la cucina Tex-mex. Non siamo i soli che non trovano la cucina proposta negli Stati Uniti esattamente come quella dei loro paesi natii o incontrata nei loro viaggi in un certo paese.

Però, anche se non troverete qui chi vi fa il bollito misto presentandovi la testa bollita del manzo ( una mia amica americana in visita in Piemonte a momenti moriva quando l’hanno portata a mangiare quella prelibatezza in un ristorante tipico del casalese e-come la capisco- non è poi riuscita a toccare cibo) o, per mangiare una Peking duck come si deve, dovrete avventurarvi nei vicoli delle Chinatown e conoscere il ristorante giusto, sarete certi che troverete tanti piatti e cucine differenti, anche se un po’ americanizzate.

Nello stesso modo, siate certi che non morirete di fame anche se avrete le più diverse limitazioni dietetiche, sia per allergie sia per posizioni etiche o religiose. Troverete sempre un ristorante che vi offrirà cibi gluten free (per celiaci), con menu chiari per sapere se i piatti contengono cibi che vi possono creare reazioni allergiche di ogni tipo, e che vi accomodera`nelle vostre diete religiose o se siete vegani.

Noi, con nostra figlia vegana da 5 anni, siamo diventati molto sensibili all’argomento e direi piacevolmente sorpresi delle scelte che si trovano in giro.

A parte scaricare la preziosa app “ Happy Cow” che vi consiglio e che ci ha salvati in Giappone, dove anche la lingua risultava un ostacolo, prima di arrivare in un luogo leggete ed informatevi e sono sicura troverete moltissimi suggerimenti.

Certo: trovarli in Italiano, per ristoranti provati da italiani è sempre meglio, vero?

Allora ecco nel mio post la lista di ristoranti vegani a Miami, provati e approvati  da noi durante il nostro ultimo viaggio in quella citta’.

Buona lettura e buon appetito!

Claudia, Un’alessandrina in America

Scegliere il College in America part 2: il compromesso economico

L’ultimo mese non è stato un periodo facile, sia personalmente che per tutta la famiglia. Come avevo scritto nell’articolo precedente,  è arrivato per la nostra prima figlia il momento di scegliere l’università. Io, che sono una boomer, ero abituata al “metodo italiano”, cioè al fatto che nell’ultimo anno di scuola media si dovesse scegliere la macroarea, che molto probabilmente avrebbe influenzato poi la scelta futura dell’università, e quindi del destino lavorativo (sempre se la “fortuna” ti assisteva e la scelta fatta si rivelava poi azzeccata…).

Qui in USA abbiamo scoperto un mondo tutto nuovo, scolasticamente parlando, e io ma soprattutto mio marito ci siamo dovuti mettere sotto a studiare come quando dove e perché scegliere una università piuttosto che un’altra per e con la nostra primogenita.
Come avevo già scritto, di differente rispetto all’Italia, la scuola superiore qui è uguale per tutti, cioè non esistono i vari licei (esistono comunque delle scuole professionali di avviamento al lavoro per chi non se la sente di laurearsi…). Le materie possono differire nel secondo biennio per corsi elettivi, che possono indirizzare verso materie scientifiche piuttosto che umanistiche o artistiche.

Campo di football della Lake Orion High School, in Lake Orion (MI) (fonte thembca.org)

Già dal terzo anno nelle scuole gli studenti iniziano ad approcciare all’università, attraverso degli incontri con dei rappresentanti che presentano i corsi di studio. Gli studenti sono invitati agli Open day nei Campus universitari, dove gli viene assegnato uno studente tutor e possono fare shadowing per un giorno (cioè seguire le lezioni e le attività di una giornata tipo). Le Università più prestigiose sono costose e molto selettive. In genere lo studente sottopone domanda a molteplici Università, comprese un paio di riserva nel caso le domande dovessero venire rigettate dalle prime scelte. Alcune Università, oltre ad avere una soglia di una media scolastica più o meno alta, richiedono anche un tema motivazionale, e nel caso di indirizzi artistici come canto recitazione o ballo, un provino di ammissione. Nel giro di qualche settimana l’Oracolo si pronuncia e si potrà quindi scegliere tra quelle che hanno dato responso positivo, e lo studente verrà chiamato a dare una caparra per garantirsi il posto a partire da agosto.

Vista aerea di (parte dello) sterminato campus universitario della University of Michigan, il college più prestigioso (e costoso) dello stato, Ann Arbor (MI)(fonte amazonaws.com)

Bene! Tutto a posto, direte voi! Eh no! Questa era la parte facile, dico io… ora, soprattutto per noi è iniziato un calvario. Perché una famiglia americana, per rendere i costi del College sostenibili, sa di avere almeno un paio di scelte, quali attingere ad un fondo di risparmi attivato molti anni prima, oppure di aprire un mutuo che il ragazzo dovrà estinguere nei primi anni lavorativi. Gli adolescenti oltretutto appena possono iniziano a fare lavoretti che permettono loro di guadagnare qualcosa per rendersi un po’ autonomi e, in più, possono ambire a diverse borse di studio per meriti scolastici e/o sportivi. Per quanto riguarda invece una famiglia di espatriati con visto lavorativo come la nostra, la situazione cambia e anche di molto.

Infatti, nonostante noi siamo su suolo americano da quasi 6 anni, nonostante iI contratto di lavoro sia locale, Giulia, dalla maggior parte delle Università, viene considerata una studentessa internazionale, vedendo lievitare così i costi di iscrizione del doppio rispetto ad uno studente residente.

Oakland University, permette agli studenti con visto L2 di essere considerati “in-state” e abbattere la retta, in Rochester (MI) (fonte crainsdetroit.com)

Abbiamo quindi iniziato una ricerca di tutti quei College che potevano considerarci residenti, anche perché, in aggiunta, sempre per il discorso del visto, sapevamo di non avere accesso ai prestiti federali. Parlando in soldoni, qui (e badate bene, per qui intendo in Michigan, in altri Stati i costi possono essere molto diversi…) un College per un residente può arrivare a costare tra i $15mila e i $30 mila l’anno, costo che varia a seconda del prestigio della scuola e del fatto che venga richiesto o meno di dormire nel Campus, mentre per un internazionale la spesa annua può arrivare a $60mila/anno.
Una delle cose che abbiamo capito, o almeno speriamo di avere capito, al momento, è che per iscriversi al College qui in Usa è bene muoversi e non aspettare maggio – giugno perchè chi prima arriva bene alloggia. Infatti chi si iscrive presto ha più accesso alle borse di studio.

Se poi non si riesce ad entrare in nessun College, l’alternativa è per 1 o 2 anni di frequentare un college popolare (Community College) caratterizzato da offerta formativa limitata e da costi molto più contenuti. Durante questo periodo, comunque, si possono accumulare crediti che verranno scalati se si riuscirà successivamente ad entrare in un College privato. I Community College sono organizzati per rilasciare allo studente, dopo 2 anni, un titolo chiamato Associate Degree, soluzione piu che dignitosa per chi non vuole/può affrontare i 4 anni del Bachelor’s Degree. I College privati, invece, propongono corsi di Laurea di 4 anni più la Laurea Magistrale (Master’s Degree) e corsi post Laurea tipo MBA (che in italia chiamiamo “Master”): tutto questo su vasta gamma di indirizzi (ingegneria, medicina, arti, aree umanistiche) fatto salvo alcune eccezioni come ad esempio la Lawrence Technological University (improntata soprattutto sull’ingegneria) qui in Michigan.

Lawrence Technological University, specializzata in Ingegneria, Scienze, Architettura e Matematica, in Southfield (MI) (fonte cloudfront.net)

Per il corso di formazione che vorrebbe intraprendere Giulia, in Michigan abbiamo la University of Michigan, uno delle 3 college più prestigiosi degli Stati Uniti, che incredibilmente se la gioca con le Università della costa Est, volendo lei fare un corso di Musical Theatre. Naturalmente, è una delle più costose, e purtroppo abbiamo dovuto scartarla relativamente presto non avendo i fondi necessari per affrontare tale spesa e avendo oltretutto altri 3 figli e una che arriverà a iscriversi al College a breve giro… quindi stiamo sperando di far in modo che la scelta sia una delle più giuste e di non avviare Giulia ad una carriera di artista di strada… anche se al giorno d’oggi i Måneskin insegnano che si può iniziare a far musica in giro per le strade della propria città ed arrivare poi a suonare al Jimmy Fallon Show e al Saturday Night Live. Se si ha talento, voglia e soprattutto si incontra un produttore bravo e probabilmente molto scaltro.

Maneskin al Saturday Night Live Show, Gennaio 2022 (fonte billboard.com)

Chiara, Michigan

Un’icona inaffondabile


Nella zona sud della città di Philadelphia, Pennsylvania, nelle acque del fiume Delaware e più precisamente al molo 82 (di fronte a Ikea), è possibile trovare il simbolo di un’epoca e di una nazione: il colossale transatlantico SS United States.

Ispirato alle regine inglesi degli anni trenta, le navi Queen Elizabeth e Queen Mary, fu costruito dall’omonima compagnia navale, la United States Lines, e quasi totalmente finanziato dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, che desiderava una lussuosa nave passeggeri, ispirata al clima delle dive e del cinema hollywoodiano di quel tempo, che potesse però, all’occorrenza, rinnovarsi e trasportare velocemente fino a 15.000 truppe senza rifornirsi di carburante, considerando il contesto della guerra in Corea e della Guerra Fredda.

“The Big U” e lo sfarzo del passato

I Transatlantici, navi pensate per attraversare l’Atlantico in circa 5 giorni, per decenni hanno rappresentato un vero e proprio status symbol e “the Big U” (la grande U, un affettuoso soprannome con cui la ricordano gli americani) in particolare simboleggiava la potenza finanziaria e tecnologica dell’America del dopoguerra.

Progettata da William Francis Gibbs, intraprese il suo primo viaggio il 4 luglio 1952 e stabilì un record di velocità, ad oggi ancora imbattuto, di 3 giorni, 10 ore e 40 minuti, che gli valse l’ambito titolo Nastro Azzurro, un trofeo assegnato alla nave più veloce nella tratta Ovest-Est o in quella Est-Ovest.

Poteva trasportare fino a 1928 passeggeri, era larga 30.9 metri e lunga 301,7 metri. La stazza lorda era di 53.330 tonnellate e raggiungeva la notevole velocità di 38 nodi.Venne costruita completamente in alluminio e per motivi di sicurezza venne totalmente bandito il legno, tanto che venne chiesto alla Steinway, la nota casa costruttrice, addirittura un pianoforte di alluminio! L’azienda si rifiutò, ma riusci a trovare una tipologia di legno ignifugo; Gibbs dopo averlo letteralmente cosparso di benzina ed aver provato ad incendiarlo, senza successo, approvò l’imbarco dello strumento musicale!

Come una vera star, la SS United States puo’ vantare tra I suoi passeggeri celebrità del calibro di JFK, Dwight Eisenhower, Harry Truman, Grace di Monaco, Salvador Dali, Elizabeth Taylor e la nostra Gioconda, che rientrò a Parigi dopo il “tour” che la porto negli Stati Uniti negli anni ’60.

Lo stato attuale ed i progetti futuri

La nave cessò la sua attività nel novembre del 1969, quando ormai il servizio di trasporto passeggeri navale venne quasi interamente sostituito da quello aereo.

La SS United States, fino al 1978 sigillata come nave di riserva della Marina Militare, vive oggi purtoppo un futuro molto incerto; a causa dei costosissimi costi di manutenzione (oltre 60.000 dollari al mese!!) ha cambiato numerosi proprietari ed attualmente si stanno cercando fondi per ripristinare il suo antico splendore.

Si stima che ci vorrebbero circa 300 milioni di dollari per restaurarla, una cifra astronomica, ma non impossibile, considerando il proverbiale nazionalismo americano che nel 2016, ad esempio, ha raccolto in poco più di un mese centinaia di migliaia di dollari in donazioni!

La fondazione SS United States Conservancy, diretta dalla pronipote di Gibbs, vorrebbe farla diventare monumento nazionale o comunque valorizzarne l’importanza storica, ma anche colossi come Airbnb hanno avanzato proposte per farla diventare un luogo di soggiorno esclusivo.

Mentre si decide il suo avvenire, questo meraviglioso transatlantico sonnecchia arrugginito al Pier 82, spogliato della sua identità, ma non del suo glorioso passato.

Debora, Philadelphia

Guida di Miami: Coconut Grove

Coconut Grove è stato il primo quartiere di Miami che ho conosciuto. Nel lontano 2009 accompagnai nel suo trasferimento oltreoceano quello che all’epoca era ancora il mio fidanzato – no, non stavo cercando di liberarmi di lui.

La nostra vacanza insieme fu di una sola settimana, bellissima. Ricordo ancora quando quasi al termine dei 7 giorni arrivò il trasloco internazionale ed improvvisamente la casa vuota si riempì di scatoloni!

Tornai poi di nuovo a fine giugno. In tre mesi era cambiato tutto! Lui aveva trovato un lavoro – quasi subito – e aveva iniziato la scuola di cucina. Studiava al mattino e lavorava la sera. L’albergo dove l’avevano assunto era proprio in Coconut Grove, e ci tornavamo anche nel suo tempo libero.
Coconut Grove è un quartiere che si affaccia sul mare ma non ha spiagge. Molti dei residenti hanno una barca, però. Qui vivono europei, tanti, e americani. Tra questi anche molti afroamericani, discendenti dei lavoratori delle Bahamas che materialmente la costruirono. Coconut Grove infatti risale alla fine del 1800, e Miami venne fondata nel 1896 grazie all’indispensabile voto di questi uomini di colore.

Cosa vedere a Coconut Grove

La cosa piu’ affascinante di Coconut Grove sono le case storiche, incastonate nella vegetazione tropicale, dagli inserti in pietra, costruzioni basse col giardino. E la storia di Coconut Grove passa attraverso alcune case di interesse storico e artistico. Le piu’ note sono la casa di James Deering, quella di Ralph Middleton Munroe, e quella di David Farchild. Questi tre imprenditori costruirono quelle che sono considerate tra le piu’ belle ville di tutta la Florida.

Coconut Grove ha proprio un’aria rilassata e tranquilla ed e’ ideale per sentirsi proprio in vacanza.

Se state pianificando una visita a questo quartiere, ho preparato per voi una piccola guida ad un piccolo prezzo, che potete scaricare direttamente. La trovate a questo link, fatemi sapere cosa ne pensate!

Tiziana, Lucy in Florida travel blog

Girl Scout Cookies e non solo

Lasciati alle spalle il pumpkin spice latte, i profumi di cannella e dei dolci natalizi, dopo la Holiday season, inizia il periodo in cui imperversano i girl scout cookies. Ormai un grande classico per molte famiglie americane, sono indubbiamente anche un business non indifferente.

Un business per l’ organizzazione delle girl scout e i comitati locali che si finanziano, per i produttori e per le girl scout ovviamente. Quante più scatole vendi acquisisci più badge importanti. Una cosa da ragazzi verrebbe da pensare, magari, spesso esasperata anche dalla competizione a primeggiare  innata nella maggior parte degli statunitensi. Ma non solo.

Gia in passato vi avevo parlato degli adolescenti e cultura del lavoro in USA, sicuramente educare al lavoro e a una mentalità business-oriented è un fattore molto importante.

Importante non solo per quello che può insegnare, ma anche perché può aiutare a mettere i primi mattoni per costruirsi un futuro o aiutare ad aprire porte in futuro. Chiariamo non è il numero di scatole di biscotti che una girl scout venderà a 10 anni a segnarne il futuro, ma potrebbe in realtà non essere solo una questione di biscotti.

Nel post vi racconto di Elizabeth Brinton, che detiene il record di scatole vendute e di come arrivò a venderle a due Presidenti. In un’ intervista anni dopo il suo ingresso all’università della Pennsylvania Christoph Guttentag, responsabile delle iscrizioni, ebbe modo di ricordare a sua domanda di ammissione: “Il fatto che vendesse biscotti a questi clienti dimostrava che aveva un debole per la tenacia”.

Ovviamente questo è un caso reso particolare dalla notorietà che l’aspirante studente aveva acquisito, ma il giudizio espresso rispecchia molto come questo tipo di attività possa essere essere presa sul serio e non solo vista come una cosa da bambini.

Qual è il vostro preferito? E se invece non li conoscete qui vi racconto un po’ meglio cosa sono i girl scout cookies. Cliccate qui sotto!

Valentina, Parole sparse – un’Italiana in Texas

Le spiagge più belle di Maui

Quando si pensa alle Hawaii la prima immagine che arriva alla mente sono sicuramente le incantevoli spiagge di sabbia bianca che si affacciano sul un mare cristallino, ornate di palme in cui fare stupende nuotate.

E’ proprio così: rimarrete senza parole di fronte alle meravigliose spiagge di Maui, bellissime e dai colori pazzeschi. Ma vi assicuro che non tutte le spiagge sono uguali e non tutte sono adatte per tutti i turisti.

Non mi credete? Al vostro arrivo in aeroporto, vi faranno vedere un video, al ritiro bagagli, proprio sui pericoli e sulle insidie del mare. Perché alle Hawaii e anche a Maui, il mare è tanto bello quanto spesso insidioso. Occorre prestare molta attenzione, specialmente con i bambini.

Così ho pensato di raccontarvi le diverse tipologie di spiagge di Maui fra cui potrete scegliere: da quelle più indicate alla balneazione a quelle imperdibili per il paesaggio da cartolina ma caratterizzate da correnti pericolose, dalle baie protette e perfette per lo snorkeling ai litorali ricercati per il surf con le grandi onde da cavalcare.

Chiara di www.viaggiamondo.it