Alla scoperta del BRONX

Tutti avrete sentito parlare almeno una volta del Bronx, il quartiere con la fama del più pericoloso e malfamato di NY negli anni 70. Beh le cose oggi sono un po’ cambiate. Il Bronx oltre ad essere una zona molto grande, con un’area estesa di 110 chilometri quadrati dove vivono circa 1.400.000 persone, dalla meta degli anni 80 e’ stato in gran parte riqualificato. 

Visita al Bronx, quartiere di New York

La zona del South Bronx rimane quella molto povera, uno dei distretti più poveri d’America, e questo lo si nota non tanto dalla decadenza ma dalle rifiniture, dai materiali con cui sono costruite le case. Inimmaginabile vedere tante casette a schiera prefabbricate, pensate il caldo in estate! Noterete inoltre un’altissima quantità di fast food, negozi 99 cent e gruppi di giovani raggruppati agli angoli della strada in totale ozio.

Le etnie sono molteplici e quasi sempre divise in ghetti. Numerosissima la popolazione ispanica e afro-americana. Vedrete negozi tipici nell’arredamento, vestiario, parrucchieri.

In questa zona c’e il “Bronx Museum of the Arts“ che ospita spesso mostre di artisti ispanici e afro-americani, ed eventi legati alla vita e alla storia del quartiere.

Yankee Stadium

Altro sito d’attrazione e’ lo Yankee Stadium dove gioca una delle squadre di baseball più titolate d’America, i New York Yankees. Qui hanno militato Babe Ruth e Joe di Maggio. E’ possibile anche prenotare una visita all’interno dello stadio che si trova nel cuore del Bronx. 

New York Botanical Garden e Bronx Zoo

Spostandosi un po’ più a Nord troviamo il Botanical Garden, un angolo di paradiso affacciato sul Bronx river, ricco di vegetazione, serre ed spazi espositivi che ospitano mostre ed eventi stagionali.

Nella stessa area il Bronx zoo, il più grande degli Stati Uniti con circa 700 specie di animali, che vivono in habitat ricreati senza gabbie.

Intorno a questi due grandi parchi vedrete che le abitazioni sono cambiate moltissimo, la zona e’ residenziale, ben servita da metropolitana, treno, pista ciclabile e tanto verde. Qui infatti e’ presente il Pelham Bay park, un’oasi verde tre volte più grande di Central Park

City Island

Spostandoci nella zona orientale del Bronx arriveremo a City Island, un post magico! Si tratta di un ex villaggio di pescatori  con tante villette in stile, negozietti e ristoranti di pesce tutti sull’acqua. Quando entri a City Island diventa difficile immaginare che ti trovi ancora a NY e per di più nel Bronx! L’atmosfera e’ rilassata e vacanziera.

La vecchia Little Italy

Altra zona molto frequentata, anche da me, e’ Arthur Avenue, la vecchia little Italy, dove ancora si respirano l’aria nostrana con la vera cultura Italo-Americana. Fare la spesa qui e’ una vera goduria! Panetteria, pescheria, pizzicheria e pasta fresca… la comunità albanese ora e’ molto presente in questa zona, ma ancora si riesce a trovare tutto quello di cui abbiamo sempre bisogno!

Riverdale

Infine Riverdale, la zona ricca del Bronx, con ville in stile vittoriano che si affacciano sull’Hudson, giardini e siepi curatissimi. Pensate che negli anni ’20 la famiglia Kennedy possedeva una villa con 20 stanze qui a Riverdale.

E poi ci sono Orchar beach, la villa storica di Bartow-Pell diventata un museo, il cottage di Edgard Allan Poe, la Fordham University, e tanto tanto altro.

Tutto questo io l’ho conosciuto grazie alla mia amica Monia, guida turistica NYC. Lei e’ davvero una forza, un libro scritto! Conosce tutti gli angoli più nascosti di questa città. Seguitela o se avete voglia fatevi accompagnare da lei… magari proprio a fare un giro nel Bronx!

Se avete tempo a disposizione armatevi di coraggio e curiosità e venite a visitare il Bronx. Con la sua storia e con le sue mille sfaccettature non vi deluderà !

Flaminia, New York

Vacanze in Florida, le springs del Central Florida

Spesso, quando si parla di visitare la Florida, ci si riferisce a due sole mete: Miami area (con Everglades e Keys) e i grandi parchi di divertimento Disney e Orlando.
Ma, in realtà, c’è tutta un’altra zona turistica che merita di essere presa in considerazione, soprattutto se si ama la natura. Sede dei grandi parchi di divertimenti della prima metà del XX secolo, il central Florida ha moltissimi parchi costruiti attorno a delle sorgenti di acqua dolce in cui è possibile fare kayak, canoa, snorkeling o, semplicemente navigare con una barca a noleggio.
Molte di esse portano ancora i segni delle strutture che li contraddistinguevano negli anni ’40: zoo, passeggiate, aree ristoro ormai in disuso che ne fanno affascinanti location di archeologia moderna.

Questo week end siamo stati nuovamente a Rainbow springs e, per la prima volta, a Silver Glen Spring.

Tenete presente che le sorgenti hanno una capacità limitata. Una volta raggiunto il limite di persone che possono accogliere, vengono chiuse. In questo caso, Rainbow Spring chiude fino al giorno dopo, mentre Silver Glen fa entrare le persone in coda man mano che qualcuno va via. Dal 26 Maggio a Labor day, il parco di SG richiede la prenotazione del parcheggio in anticipo durante le feste e i week end: questo significa che potrete arrivare in qualunque momento della giornata e sarete sicuri di avere il vostro accesso.

Alcuni parchi sono alcol-free, e vi verrà controllata la borraccia in ingresso. Altri, come Ginny Park, sono invece liberi e questo comporta, nel week end, un clima forse un po’ troppo festivo e goliardico.

E’ possibile accedere a Rainbow Spring anche via acqua, dal parco KP Hole. In questo caso è proibito avere con voi anche plastica e bicchieri usa e getta, sacchetti di patatine, cibo confezionato non in tupperware. Vi verrà controllato il cooler e sarete invitati a lasciare in auto tutto quello che non è ecologicamente compatibile con le regole del parco. A Rainbow Spring, invece, è proibito solo l’alcol (ma di fatto non ci sono particolari controlli).

Un volta entrati, questo è lo spettacolo che vi troverete davanti

I parchi prevedono un piccolo snack bar, bagni, noleggio canoe e kayak e, in alcuni casi, anche noleggio di ciambelloni gonfiabili con cui farsi trasportare dalla corrente lungo il fiume, fino alla stazione a valle, dove un bus provvede al recupero di bagnanti e gonfiabili e riporta tutto al parco di partenza.

A Rainbow Spring abbiamo anche percorso il trail che, in parte, costeggia i resti del parco divertimenti

A Silver Glen, invece, abbiamo fatto un picnic sul prato, in mezzo ai latini che grigliavano davvero di tutto

Questo parco è anche accessibile con le barche via fiume, per cui c’erano tantissime barche agganciate una all’altra, come nella migliore tradizione delle sand bar locali. L’altra parte del canale, invece, ha acqua molto bassa ed è navigabile col kayak, ma noi abbiamo rinunciato subito perché c’erano parecchi alligatori e non ci ispirava molta fiducia (c’è da dire che i locali, invece, ci scorrazzavano attorno senza farsi grandi problemi).

Se vi ho incuriosito, con questo tipo di vacanze alternative, qui trovate l’elenco delle principali springs del central Florida, con le loro caratteristiche.

Vi lascio una ricetta velocissima e perfetta da portare ai vostri picnic sulla spiaggia o, appunto, alle spring 🙂

La ricetta del mese: panini veloci al Philadelphia

La ricetta viene da una blogger molto famosa oltreoceano, Skinnytaste , che offre sempre ricette leggere ma di gusto. Questi panini giravano da un po’ sulla mia bacheca, ma non avevo mai avuto tempo o voglia di farli: invece davvero sono buonissimi e restano gradevoli anche per un paio di giorni, rendendoli perfetti per le lunchbox e per i pranzi al sacco.

Ingredienti:

  • 1 cup (125g) di farina autolievitante, oppure 120g di farina e 10 g di lievito per dolci o per torte salate (non di birra)
  • 1 cup (240g) di yogurt greco 0 grassi (va bene anche intero, basta che sia greco)
  • mezzo cucchiaino di sale fino
  • mezzo panetto di philadelphia senza grassi (va benissimo anche quello normale, ma sempre in panetto e non in vaschetta)
  • un albume per spennellare i panini
  • semi di sesamo o altre spezie per decorare

Procedimento:

Impastate lo yogurt, il sale, la farina e eventualmente il lievito, dapprima con una forchetta e poi con la mani. Rovesciate su un piano infarinato e lavorate ancora qualche minuto fino ad avere una palla elastica e compatta.
Dividete la palla in 8 spicchi e rotolate ogni spicchio tra le mani fino ad avere una pallina. Spianatela con le mani, mettete al centro un cubetto di philadelphia e richiudete accuratamente la pasta attorno al formaggio.
Posizionate le palline farcite su una teglia coperta di carta forno e spennellatele con albume d’uovo e spolverizzatele con semi di sesamo, erba cipollina, prezzemolo tritato, pepe o quello che avete a disposizione. Io ho messo everything but the bagel, un mix di sesamo bianco e nero, cipolla e aglio in fiocchi, semi di papavero e sale grosso che si usa come decorazione per i bagel.
Cuocere in airfry per 15 minuti a 150°C (325°F), oppure in forno a 180°C (350°F) per 15 minuti, in ogni caso controllate non siano troppo dorati.
Fate raffreddare una decina di minuti e gustate.

NOTE:

  • Nel ripieno si può mettere erba cipollina, spezie, pesto, pomodoro, pezzetti di salsiccia o pancetta… quello che volete per aromatizzare ulteriormente (ovviamente le calorie aumenteranno si conseguenza)
  • Potete usare albume o uovo intero per spennellare i panini
  • Se volete conservarli per il giorno dopo, metteteli in un tupperware e conservateli a temperatura ambiente Oltre un giorno, io conserverei in frigo
  • Gina dice che lo yogurt greco è fondamentale per la buona riuscita della pasta
  • Ogni panino preparato secondo la ricetta base ha circa 173 Kcal
  • Possono essere fatti senza glutine, avendo l’accortezza di usare un mix di farina adatta e controllando che topping e formaggio siano gluten free. In tal caso cuoceteli a 400 gradi (200°C per 12 minuti)
  • Io ho provato anche a farli più piccoli, 16 con queste dosi, ma secondo me rendono meglio e restano più cremosi se fatti grandi. Questo non esclude che, per un aperitivo, siano più pratico piccini.
  • Se volete farli gourmet, potete farcirli anche con formaggio di capra e noci

Enjoy! Elena, Florida

La Manhattan piu’ ricca

A New York per vivere bene bisogna essere piuttosto ricchi.

Questo in quasi tutti i quartieri, anche quelli periferici, dove sta avvenendo il processo di “gentrificazione”, cioe’ i ceti meno abbienti, tra cui gruppi etnici o persone di colore, vengono spinti sempre piu’ in periferia, sempre piu’ emarginati.

E’ successo nel quartiere dove viveva mia figlia a Brooklyn, Bedford-Stuyvesant o Bed-Stuy, e proprio nella sua strada. Questa via alberata e con belle Brownstones ancora chiaramente abitate da persone non abbienti, nel giro dei tre anni in cui lei ci ha abitato, e’ stata trasformata da luogo dove ci si poteva ancora permettere di vivere con un reddito non da milionario, a strada con case unifamiliari da milioni di Dollari (non tutte ancora… ma il processo e’ ovvio).

via Anmy

Mia figlia, che lavora e ha uno stipendio dignitoso che in un’altra citta’ le permetterebbe di vivere da sola comprandosi una casa, a New York deve condividere l’alloggio con un’amica. Alloggio, comunque situato a Brooklyn, in una zona ancora piena di “warehouse” (magazzini) e di certo non “in”, che dista dal suo lavoro a Manhattan ben 45 minuti tra metropolitana e strada a piedi.

Per questo motivo ho detto che a New York, specialmente per vivere a Manhattan, bisogna avere stipendi da sei cifre all’anno e in cui la prima non e’ un 1.

Proprio ieri ne parlavamo con nostra figlia, perche` una sua amica ha affittato a West Harlem un appartamento con una camera da letto a ben 3000$ al mese. Mia figlia e la sua amica pagano la stessa cifra per uno di 2 camere da letto, ma a Brooklyn e non immaginatevi chissa’ che cosa…

Manhattan costa almeno il doppio.

Nei Queens, dove alcune zone stanno subendo la stessa gentrificazione di Brooklyn, i prezzi sono simili a quelli di Brooklyn.

Il Bronx non lo conosco, ma non so se si’ e’ scrollato di dosso la brutta nomea che ha sempre avuto.

Molti quindi decidono di vivere, specialmente quando hanno una famiglia, in altri stati o nello stato di New York molto piu’ lontani dal lavoro. Dall’altra parte dell’Hudson c’e’ il New Jersey, non molto a nord si sconfina in Connecticut, addirittura ci sono persone che vivono in Pennsylvania. Dal New Jersey si arriva a Manhattan con i mezzi pubblici e la Path, dal Connecticut si arriva a Gran Central station con il treno, mentre dalla Pennsylvania si arriva a Penn station.

Chi rimane a vivere in Manhattan deve sottostare a costi molto alti anche di gestione: pure i costi per il semplice vitto sono molto piu’ alti.

Ci sono poi zone dove la ricchezza si respira nell’aria.

In quelle di cui vi parlo nel mio articolo di questo mese, sono sicura che ci siete stati o ci andrete la prossima volta che sarete a New York.

Vediamo se, dopo avermi letta, noterete anche voi le cose che ho notato io.

PS: e nel mio articolo troverete anche qualche consiglio per il vostro viaggio. Buona lettura!

Claudia, Un’alessandrina in America

Il cammino di Chisholm nel vecchio West

Dato che è il mio primo articolo per usa Coast to Coast mi presento, sono Sara e vivo con mio marito da quasi un anno in Oklahoma.

Non nasco come blogger vera e propria anche se tutto è iniziato su Instagram con la mia pagina personale dove scrivevo e scrivo tutt’ora piccoli pezzi su luoghi e curiosità degli Stati Uniti, prima come turista e ora come residente.

Con il tempo mi sono allargata e la mia passione, mi ha portato ad aprire una pagina anche su Facebook, che si chiama, Sara’s Discoveries – in the USA.

Alla scoperta di Waco, Texas

Ma ritorniamo a noi, siamo appena rientrati da un viaggio itinerante lungo il Texas e arrivati alla cittadina di Waco ho scoperto alcune cose di cui oggi voglio parlarvi, un piccolo pezzetto di storia, avvenuta negli albori dell’economia americana.

Il Chisholm Trail

Ci troviamo nel 1867, immaginatevi cavalli con in sella cowboy dall’aspetto rude e poco curato, file interminabili di grossi bovini con corna lunghissime, carri stracolmi di pellame e viveri.

Questa lunga carovana di uomini a cavallo, animali e carri che percorrevano steppe interminabili partivano dal Texas del Sud passando da San Antonio, da Austin, o da Waco (come si può vedere dalla cartina).

In quegli anni Il bestiame, in eccesso di tutto  il sud del Texas veniva radunato proprio in quei luoghi, per poi partire per una lunga “camminata” per il nord.

Ora vi domanderete: perché in quegli anni ci fu un eccesso di bestiame?

Negli anni precedenti  a causa  di un tipo di zecca che attaccava principalmente i Texas Longhorn, e questa razza bovina fu bandita dagli altri stati per evitare il propagarsi della Febbre del Texas (questo il nome della la malattia che causavano le zecche nei bovini). Successivamente poi lo scoppio della guerra civile in tutti gli Stati Unti provocò un ulteriore rallentamento nello scambio delle merci.

Avvenne però che proprio in quell’anno  Joseph G. McCoy, un uomo d’affari nell’industria del bestiame, aprì dei magazzini di bestiame ad Abilene nel Kansas ed ottenne grande successo; questo mercato divenne molto importante e così, al fine di poter garantire l’approvvigionamento dei bovini venne creato un nuovo sentiero, il Chisholm Trail.

Questo ai vostri occhi amici può sembrare cosa da poco ma provate a correre con l’immaginazione indietro di quasi duecento anni e ad immaginare a quanto rischioso e ignoto potesse essere viaggiare con beni preziosi (questo era il bestiame) per ampi territori in cui la legge seppur presente non poteva essere garantita e gli imprevisti erano all’ordine del giorno.

Jesse Chisholm

Perché questo cammino fu chiamato Chisholm Trail?

Gli fu dato questo nome per via di Jesse Chisholm, un commerciante di pellame di origini Cherokee/scozzesi; fu proprio lui, molti anni prima insieme al suo amico Black Beaver (guida della tribù indiana Lenape), a crearlo.

Grazie al nuovo sentiero Jesse Chisholm, riuscì negli anni a rifornire svariati punti di commercio attraversando i territori appartenuti da sempre alle tribù dei nativi americani dell’Oklahoma.

Jesse Chisholm viene inoltre ricordato nel Texas e più in generale negli Stati Uniti come interprete e traduttore per i trattati di pace con le tribù indiane.

Sara’s Discoveries – in the USA

Milestone importanti e la fine dell’High School

Per i Senior, gli studenti dell’ultimo anno di High School, la primavera è un periodo intenso pieno di eventi e traguardi che vengono raggiunti, dalle esperienze più leggere come il Prom (che poi a 17 anni è comunque affare serio anche lui) a quelle più “serie” come la cerimonia di graduation o l’ammissione all’università.

Per molti è il periodo in cui vengono raccolti i frutti del lavoro degli ultimi 4 anni, perché nella maggior parte dei casi essere ammessi al college non è solo una questione di voti, ma anche del curriculum con cui ti presenti. Lavori fatti, ore dedicate al volontariato e ad attività extra, senza dimenticare i traguardi sportivi, per cui tanti ragazzi spendono ore e ore di allenamenti per raggiungere livelli spesso altissimi.

Tutto questo non solo per garantirsi un posto nelle università di loro preferenza, ma anche per cercare di accaparrarsi una delle tante borse di studio che per molti sono l’unica via per accedere al college. Tutte le università offrono molte opportunità di borse di studio e gli studenti più meritevoli riescono ad ottenere cifre che alle volte fanno girare veramente la testa. Alle volte si parla anche di centinaia di migliaia di dollari.

Quello che trovo bello è come a livello locale questi studenti meritevoli vengano spesso riconosciuti sui giornali o sui siti di notizie, vengono dedicate giornate in cui chi si è aggiudicato le borse di studio e un posto in qualche università/squadra “firma” il suo accordo/contratto con il college. Vengono fatte cerimonie in cui sono consegnati assegni simbolici in nome delle scholarship più importanti. Sembrano piccoli gesti, ma sono importanti e significativi, perché non solo ripagano gli sforzi di questi studenti, ma sono anche un esempio e uno sprone per i ragazzi degli anni successivi.

Per tanti studenti qui ancora non è così scontato terminare la scuola superiore, meno ancora magari andare al college. Non è raro leggere magari sui social post di genitori fieri per il primo membro della famiglia che si diploma o che viene accettato in un’università. 

Per questo non solo le famiglie, ma le scuole, la società iniziano presto a stimolare i ragazzi ad essere invogliati a iniziare presto a costruire le basi del loro futuro. Qui vi racconto qualche altro esempio.

Valentina, Parole Sparse

L’Esperimento di Philadelphia

Sapevate che la citta’ di Philadelphia e’ legata ad una “fake news” che dura da 80 anni e che tutt’oggi desta un enorme interesse e curiosità?  

La leggenda narra che Il 28 ottobre 1943 alle ore 17:15 fu realizzato un esperimento “scientifico”, conosciuto con il nome di “Philadelphia Experiment”, durante il quale il cacciatorpediniere USS Eldridge (DE-173), ormeggiato nel molo di Philadelphia, sarebbe svanito nel nulla per diversi istanti, ricomparendo dopo pochi minuti in Virginia, a Norfolk, prima di ri-materializzarsi nuovamente nel luogo dove si trovava prima del “teletrasporto”. 

A capo di questo futuristico progetto si narra che ci sarebbero i nomi di due scienziati del calibro di Albert Einstein e Nikola Tesla…

Il Philadelphia Experiment

Ma c’e’ qualcosa di vero nella leggenda dell’Eldridge? Perche’ questo enigmatico episodio generò questo enorme clamore e curiosita’, tanto da ispirare  innumerevoli studi, libri e film, nonostante la totale assenza di documentazione ufficiale?

Sicuramente uno dei personaggi realmente esistiti, da cui tutto ebbe inizio, fu Morris K. Jessup, un fantomaticoufologo e scienziato (senza nessun titolo di studio) che nel 1955 ricevette un interessante lettera dall’ex marinaio della marina mercantile Carlos Allende (o Car Allen), in cui quest ultimo raccontava di essere uno dei testimoni oculari della sparizione del cacciatorpediniere Eldridge, imbarcato sulla nave accanto al momento dell’esperimento. 

Da allora inizio’ tra i due una fitta corrispondenza in cui Allende – che non fu mai rintracciato e che spediva le sue lettere da una fattoria abbandonata – racconto’ che la Marina Militare avrebbe sperimentato la tecnica del teletrasporto, come arma di difesa dai sottomarini nazisti durante la Seconda guerra mondiale, utilizzando enormi bobine, messe a punto da Tesla.

Secondo Allende, la Marina decise poi di sospendere l’esperimento, perché’ durante il teletrasporto molti membri dell’equipaggio non fecero più ritorno, perdendosi nella finestra spazio-tempo. Con i marinai sopravvissuti ed i testimoni venne utilizzata l’ipnosi, per far loro dimenticare quanto accaduto. 

Jessup, sulla base anche di queste informazioni, pubblicò un libro dal titolo “The expanding case for the UFO”,  in cui esponeva la sua teoria secondo cui  gli alieni, utilizzando potenti campi elettromagnetici, “deformassero” le dimensioni spazio/tempo per attraversare immense distanze interstellari; ovviamente erano presenti molti riferimenti legati all’esperimento di Filadelfia. 

In seguito all’uscita del manoscritto, venne invitato a Washington, per esporre le sue teorie all’” Office of Naval Research”, ma non si presento’ mai… mori il giorno prima, intossicato dai gas di scarico della sua automobile. Le notizie ufficiali parlano di suicidio causato una forte depressione dovuta al divorzio e al poco successo del suo libro, molti invece sostengono che venne eliminato per via delle sue scomode conclusioni sull’esperimento di Philadelphia.

Coincidenze o un ulteriore mistero nel mistero, che ha solo contribuito ad aumentare il clamore della vicenda?

LA REALTA’ SCENTIFICA

Scientificamente diremmo che si e’ trattato di un esperimento minore, tenuto segreto dalle autorità per esigenze di sicurezza nazionale, sul quale poi si è scatenata la fantasia di appassionati di scienza e scrittori.

Considerando che ci si trovava nel bel mezzo della Seconda guerra mondiale, venne probabilmente sviluppato un progetto che, attraverso i campi magnetici, riuscisse semplicemente ad ostacolare i sommergibili tedeschi, responsabili di aver affondato molte navi da guerra statunitensi, consentendo alla nave di “sparire” dagli schermi del nemico. 

Un’altra prova che mette in dubbio la veridicita’ de l’“Esperimento di Philadelphia” sono i diari di bordo dell’USS Eldridge: sembra che addirittura il cacciatorpediniere non attracco’ mai al molo di Philadelphia!

Ci troviamo di fronte probabilmente ad una colossale “fake news”, a cui molti vogliono ancora credere… perché, diciamoci la verita’, sarebbe davvero meraviglioso se davvero esistesse il “teletrasporto”!

Debora, Philadelphia

Andy Warhol: una Storia Americana

Andy Warhol è il più importante rappresentante della Pop Art Americana, un grande innovatore, colui che ha fatto della provocazione e dell’ironia il suo modus operandi, creando una vera e propria filosofia artistica. Nessuno è stato capace di incarnare le contraddizioni degli Stati Uniti come questo artista dall’anima eclettica, complessa e geniale! *_*

Osservare l’evoluzione degli States attraverso le sue opere significa ripercorrere le grandi serie tematiche che hanno caratterizzato la sua produzione, dai primi anni della sua attività newyorkese all’anno della sua morte, tentando di fare interagire le immagini del divismo da rotocalco, con la cronaca giornalistica e con gli oggetti comuni della società dei consumi.

Chi era Andy Warhol

Pensate che la vocazione artistica di Andy nasce da piccolo quando, in seguito a una grave malattia, la madre gli regala l’occorrente per disegnare. Da giovanissimo inizia a lavorare a New York come grafico pubblicitario presso alcune riviste come: Vogue, Harper’s Bazar e Glamour ed è dal mondo della comunicazione pubblicitaria che approda all’arte, elaborando un suo linguaggio e rendendola accessibile a tutti, accomunando il benestante e la classe operaia.

Il pop viene dall’esterno”, avverte l’artista, che re-incornicia, filtra, scompone e rimonta le immagini mediatiche sotto gli occhi di tutti, vi pone sopra una patina estetica, che allo stesso tempo vela e rivela tratti non immediatamente percepibili…

Un mondo fatto di simboli e tinte accese quello di Warhol, dove il marchio Coca-Cola, le lattine Campbell, Marilyn Monroe, Liz Taylor, Mao Tse-tung  e tantissimi altri personaggi celebri, che non raccontando la loro provenienza o la loro storia, ma solo la loro iconizzazione e la loro ascesa nell’immaginario collettivo.

Osservare l’America attraverso Warhol significa guardare negli occhi gli eventi che sconvolgono la cronaca e la storia: dalla serie dedicata ai Most Wanted Men a Gun, da Knives all’intensa serie delle Sedie Elettriche, fino alle immagini dell’assassinio di John Kennedy.

Vi porto nel suo mondo attraverso la fantastica mostra Andy Warhol Serial Identity appena visitata che mi hanno fatto scoprire ancora un po’ di più su questo incredibile artista e teletrasportata nella famosa Silver Factory di New York! *_*

Lots of love & enjoy the reading!

Morena

Arredare casa in Florida

Stiamo ristrutturando casa per la centesima volta e di nuovo siamo in mezzo ad un delirio di polverina bianca che si infila ovunque, mobili spostati, pavimento mezzo e mezzo, radici che spuntano dalle tubazioni. Giuro! E’ la seconda volta in due case acquistate qui. Ma questa è una storia che magari vi racconterò un’altra volta.

Da mesi lo Chef ed io ci mandiamo foto in continuazione. Foto di salotti, bagni, e cucine. Abbiamo praticamente dovuto rifare 2 stanze e già che eravamo in ballo ci siamo fatti prendere la mano e cominciato a dare un piccolo makeover anche al salone. Ormai abbiamo conti aperti da Home Depot, Ikea, Floor and Decor e Homegoods. Abbiamo contagiato perfino la nostra povera bambina, che da grande vuole fare l’interior design!

A proposito, per caso vi servono un divano tre posti, una poltrona, e una credenza?

Ma non divaghiamo. Da mesi, dicevo, lo Chef ed io guardiamo programmi di ristrutturazioni e siti di arredamento. A parte quelli americani, di cui vi parlo nel mio articolo linkato in fondo, c’è un gruppo Facebook che mi piace moltissimo e si chiama Idee per arredare casa. Le foto postate sono quasi tutte di case di persone normali, arredate normali, alcune con molto gusto altre meno, ma sono mediamente belle. Lì ho trovato tantissima ispirazione per le nostre scelte, e ho scoperto che su alcune cose non c’è assolutamente differenza tra Italia ed America.

Nel mio articolo invece vi racconto in che modo le case qui sono diverse, e cosa va di più in Florida. Vi lascio con il mio articolo Arredamento delle case in Florida, e nel caso vi serva un divano fatemi sapere! 😀

Tiziana, Lucy in Florida

Boston in gennaio: una buona idea o no?

Da anni, ormai, tutti mi dicevano “devi andare a Boston! La città più europea degli States! Ti piacerà!”… perciò, una volta deciso di passare il Capodanno a New York e capito che avevamo parecchi giorni a disposizione (10), essendo la nostra quarta volta nella Big Apple (qui l’articolo sulla nostra visita) abbiamo pensato di dedicare 3 giorni ad un’altra città nelle “vicinanze”. Philadelphia e Washington già viste, la scelta non poteva che cadere su Boston!


Visitare Boston in inverno

Ma visitare Boston i primi giorni di gennaio è una buona idea o no? Vi dico subito, spoiler, che sono strafelice di averla vista, nonostante il freddo, i locali che chiudevano presto, la pioggia e le nuvole. Certo, non vedo l’ora di tornarci il prossimo settembre per vedere cos’ha da offrire d’estate 🙂




In due giorni pieni siamo comunque riusciti a vedere un sacco di cose, a completare tutto il Freedom Trail, a visitare il quartiere di North End, Chinatown, Boston Common e Public Garden, Back Bay, e anche ad assaggiare le specialità del posto (lobster roll e clam chowder, ovviamente, ma anche la Boston cream pie). Ci manca ancora un sacco di roba da vedere, quindi il ritorno a settembre, in un on the road del New England, casca a pennello!

Qui trovate il diario completo della mia visita!

Giada, Sei sempre in giro

La storia della legalizzazione della marijuana negli Stati Uniti

Ad oggi negli Stati Uniti una ventina di Stati hanno legalizzato l’uso della cannabis.

I primi a legalizzarla sono stati il Colorado e Washington (lo stato a nord dell’Oregon), che nel 2012 hanno approvato una legge per consentirne l’uso a scopo ricreativo.

All’epoca, poco più di 10 anni fa, la notizia della legalizzazione faceva ancora scalpore ma poi sono seguiti a ruota molti altri stati e oggi il 69% della popolazione americana è favorevole all’uso di questa sostanza.

Per circa 60 anni però la legalizzazione della cannabis ha polarizzato gli Americani tra chi era contrario perché la considerava una sostanza che poteva portare a violenze e suicidi e chi la considerava una sostanza curativa che poteva eliminare sacche di delinquenza e i cui proventi potevano riempire casse degli Stati come è poi avvenuto davvero molti anni dopo in Colorado dove i proventi della vendita legale ha consentito di costruito scuole e strade.

Ma come si è arrivati alla situazione attuale?

Nel 1964 Lowell Eggmeier, un attivista pro cannabis, entra nella Hall of Justice di San Francisco, si accende una canna e dice ai poliziotti “Sto iniziando un campagna per legalizzare l’uso della marijuana, vorrei essere arrestato”. Venne accontentato. Lo arrestarono e dovette scontare un anno in carcere ma anche grazie a lui iniziò il movimento pro legalizzazione.

Alla fine degli anni 60 la marijuana era diventata un simbolo della controcultura e se i più anziani erano a favore della guerra in Vietnam, contrari ai diritti civili, votavano Nixon e bevevano alcolici, i giovani erano a favore della pace, favorevoli ai diritti civili, non votavano Nixon e fumavano marijuana. Nixon, presidente in carica, non amava il movimento della controcultura e fece di tutto per stigmatizzare la loro sostanza simbolo considerandola uno dei mali della generazione e decise di fare di tutto per inserire la cannabis nella Schedule 1.

Le sostanze vengono inserite in una scala 1 a 5, nella Schedule 5 sono elencate le sostanze meno pericolose come lo sciroppo ma nella Schedule 1 ci sono le sostanze più pericolose come l’eroina. Per inserirla nella Schedule 1 Nixon aveva bisogno di supporto e delegò una commissione per studiare gli effetti reali della sostanza con la speranza di ottenere dati in linea con le sue intenzioni. La commissione Shafer fece studi per due anni ma rilevò che in realtà non c’era molta differenza tra chi faceva uso di cannabis e chi non ne faceva uso. Non si registrava più violenza, più problemi mentali, e il rendimento scolastico non ne risentiva. La commissione rilevò anche che l’uso di cannabis era molto più diffuso di quanto si pensasse soprattutto nella middle class. Nixon, deluso dai risultati, decise comunque di ignorarli e fece inserire la cannabis tra nella Schedule 1.

La lotta per la legalizzazione continuò.

Keith Stroup fondò un’organizzazione per riformare le leggi sulla marijuana e promuovere l’idea che gli adulti avevano tutto il diritto di fare ciò che volevano all’interno delle proprie case e dovevano essere considerati come clienti, consumatori, più che delinquenti. Inoltre Stroup, come tanti altri, aveva capito che la vendita legalizzata poteva riempire le casse degli Stati.

Alcuni Stati, anche se non legalizzarono la vendita e l’acquisto, presero come riferimento i risultati della commissione Shafer e decriminalizzarono il possesso di cannabis fino a un’oncia.

Questo però provocò una domanda maggiore di cannabis che aumentò le entrate delle organizzazioni criminali. Sempre più persone iniziarono a comprare marijuana, anche i ragazzi molti giovani e i genitori iniziarono a preoccuparsi.

Nel 1976 Marsha Keith Schucard scoprì che la figlia di 13 anni fumava marijuana. Fece molte ricerche sui suoi effetti sugli adolescenti e, basandosi sui pochi studi in circolazione, lesse che l’uso di cannabis poteva causare ai giovanissimi vari problemi tra cui l’infertilità. Un’altra madre, Sue Rusche, fu molto colpita dalla facilità con cui gli adolescenti venivano in possesso di marijuana anche perché i negozio che vendevano pipe, pipette e gadget vari spuntavano ad ogni angolo delle strade e indirettamente incitavano all’acquisto di sostanze dagli spacciatori che la vendevano illegalmente.

Le due donne crearono due associazioni di genitori: nel 1977 Marsha Keith Schuchard formò l’associazione PRIDE (Parents’ Resource Institute for Drug Education) e nel 1978 Sue Rusche formò il National Families in Action. Entrambe si scagliarono contro la vendita di prodotti legati alla cannabis e formarono ben 300 organizzazioni di genitori.

Il focus non era più quindi l’uso della sostanza tra gli adulti ma gli adolescenti anche se la tesi era che con la decriminalizzazione del possesso per gli adulti era divenuto più facile per gli adolescenti venire in possesso di cannabis.

Per 20 anni anche per la lotta delle associazioni dei genitori, nessuno Stato passò una decriminalization law.

Le associazioni dei genitori avevano creato una lobby molto forte a Washington, la National Federation of Parents for Drug Free Youth, che negli anni 80 trovò un sostegno importante in Nancy Reagan, la più fiera oppositrice all’uso di tutte le droghe.

Tutte le decriminalization laws approvate dagli Stati in passato vennero cancellate e l’uso di marijuana tra gli adolescenti diminuì.

Nel 1986 due droghe entrarono in scena prepotentemente, la cocaina e soprattutto il crack. Quest’ultima in particolare faceva più paura all’opinione pubblica perché uccideva. 

La lotta alle droghe si fece ancora più severa anche se la marijuana, in confronto, iniziò ad essere considerata una sostanza molto meno pericolosa. Erano gli anni della diffusione dell’AIDS e la marijuana iniziò ad essere usata come una medicina che alleviava i dolori. Nacque in quegli anni il concetto di medical marijuana. Molti malati di Aids e anche i malati di cancro che si sottoponevano alla chemio terapia, lenirono dolori cronici grazie all’uso di marijuana la cui reputazione quindi stava nuovamente cambiando. 

Nel 1996 Brownie Mary e Dennis Peron proposero la prima legge sulla marijuana a scopo terapeutico, la Compassionate Use Act. La loro campagna mediatica funzionò, la proposta di legge venne approvata nel 1996 e la California fu il primo stato a legalizzare la marijuana ad uso terapeutico. Entro il 2000 altri sette stati seguirono le orme della California.

Ma si trattava comunque di uso terapeutico e gli arresti per il possesso di marijuana, non prescritta per uso terapeutico, aumentarono più che mai. Nel 2007 quasi il 50% degli arresti per droga erano legati al possesso di marijuana e più di 8 milioni di persone vennero arrestate tra il 2001 al 2010. La maggior parte delle persone arrestate erano giovani uomini di colore. 

Si calcolò che le persone di colore venivano arrestate 4 volte in più rispetto ai bianchi anche se l’uso di cannabis era in percentuale pressoché identico tra neri e bianchi.  

Nel 2010 Michelle Alexander scrisse un libro di denuncia intitolato “The New Jim Crow: Mass Incarceration in the Era of Colorblindness” in cui sottolineava il fenomeno di incarcerazione di massa delle persone di colore legate al possesso di marijuana. Da allora molti attivisti scesero in campo con una ragione in più per chiedere la legalizzazione e la decriminalizzazione con la tesi che se il possesso fosse diventato legale o decriminalizzato, la polizia avrebbe avuto meno pretesti per incarcerare 4 volte il numero di neri rispetto ai bianchi.

Anche per l’entrata in scena di questo nuovo elemento della “social justice” chiesto a gran voce da molti attivisti alcuni stati legalizzarono la cannabis, negli anni a seguire, anche a scopi ricreativi.

E ad oggi quasi metà degli Stati americani hanno ne hanno legalizzato il possesso anche se con sfumature legali differenti.

Cosa accadrà nei prossimi anni? Nasceranno nuove organizzazioni dei genitori o altre associazioni di attivisti pro o contro la legalizzazione? Altri Stati la legalizzeranno? Difficile prevederlo. 

Torno a vivere in America