La storia della legalizzazione della marijuana negli Stati Uniti

Ad oggi negli Stati Uniti una ventina di Stati hanno legalizzato l’uso della cannabis.

I primi a legalizzarla sono stati il Colorado e Washington (lo stato a nord dell’Oregon), che nel 2012 hanno approvato una legge per consentirne l’uso a scopo ricreativo.

All’epoca, poco più di 10 anni fa, la notizia della legalizzazione faceva ancora scalpore ma poi sono seguiti a ruota molti altri stati e oggi il 69% della popolazione americana è favorevole all’uso di questa sostanza.

Per circa 60 anni però la legalizzazione della cannabis ha polarizzato gli Americani tra chi era contrario perché la considerava una sostanza che poteva portare a violenze e suicidi e chi la considerava una sostanza curativa che poteva eliminare sacche di delinquenza e i cui proventi potevano riempire casse degli Stati come è poi avvenuto davvero molti anni dopo in Colorado dove i proventi della vendita legale ha consentito di costruito scuole e strade.

Ma come si è arrivati alla situazione attuale?

Nel 1964 Lowell Eggmeier, un attivista pro cannabis, entra nella Hall of Justice di San Francisco, si accende una canna e dice ai poliziotti “Sto iniziando un campagna per legalizzare l’uso della marijuana, vorrei essere arrestato”. Venne accontentato. Lo arrestarono e dovette scontare un anno in carcere ma anche grazie a lui iniziò il movimento pro legalizzazione.

Alla fine degli anni 60 la marijuana era diventata un simbolo della controcultura e se i più anziani erano a favore della guerra in Vietnam, contrari ai diritti civili, votavano Nixon e bevevano alcolici, i giovani erano a favore della pace, favorevoli ai diritti civili, non votavano Nixon e fumavano marijuana. Nixon, presidente in carica, non amava il movimento della controcultura e fece di tutto per stigmatizzare la loro sostanza simbolo considerandola uno dei mali della generazione e decise di fare di tutto per inserire la cannabis nella Schedule 1.

Le sostanze vengono inserite in una scala 1 a 5, nella Schedule 5 sono elencate le sostanze meno pericolose come lo sciroppo ma nella Schedule 1 ci sono le sostanze più pericolose come l’eroina. Per inserirla nella Schedule 1 Nixon aveva bisogno di supporto e delegò una commissione per studiare gli effetti reali della sostanza con la speranza di ottenere dati in linea con le sue intenzioni. La commissione Shafer fece studi per due anni ma rilevò che in realtà non c’era molta differenza tra chi faceva uso di cannabis e chi non ne faceva uso. Non si registrava più violenza, più problemi mentali, e il rendimento scolastico non ne risentiva. La commissione rilevò anche che l’uso di cannabis era molto più diffuso di quanto si pensasse soprattutto nella middle class. Nixon, deluso dai risultati, decise comunque di ignorarli e fece inserire la cannabis tra nella Schedule 1.

La lotta per la legalizzazione continuò.

Keith Stroup fondò un’organizzazione per riformare le leggi sulla marijuana e promuovere l’idea che gli adulti avevano tutto il diritto di fare ciò che volevano all’interno delle proprie case e dovevano essere considerati come clienti, consumatori, più che delinquenti. Inoltre Stroup, come tanti altri, aveva capito che la vendita legalizzata poteva riempire le casse degli Stati.

Alcuni Stati, anche se non legalizzarono la vendita e l’acquisto, presero come riferimento i risultati della commissione Shafer e decriminalizzarono il possesso di cannabis fino a un’oncia.

Questo però provocò una domanda maggiore di cannabis che aumentò le entrate delle organizzazioni criminali. Sempre più persone iniziarono a comprare marijuana, anche i ragazzi molti giovani e i genitori iniziarono a preoccuparsi.

Nel 1976 Marsha Keith Schucard scoprì che la figlia di 13 anni fumava marijuana. Fece molte ricerche sui suoi effetti sugli adolescenti e, basandosi sui pochi studi in circolazione, lesse che l’uso di cannabis poteva causare ai giovanissimi vari problemi tra cui l’infertilità. Un’altra madre, Sue Rusche, fu molto colpita dalla facilità con cui gli adolescenti venivano in possesso di marijuana anche perché i negozio che vendevano pipe, pipette e gadget vari spuntavano ad ogni angolo delle strade e indirettamente incitavano all’acquisto di sostanze dagli spacciatori che la vendevano illegalmente.

Le due donne crearono due associazioni di genitori: nel 1977 Marsha Keith Schuchard formò l’associazione PRIDE (Parents’ Resource Institute for Drug Education) e nel 1978 Sue Rusche formò il National Families in Action. Entrambe si scagliarono contro la vendita di prodotti legati alla cannabis e formarono ben 300 organizzazioni di genitori.

Il focus non era più quindi l’uso della sostanza tra gli adulti ma gli adolescenti anche se la tesi era che con la decriminalizzazione del possesso per gli adulti era divenuto più facile per gli adolescenti venire in possesso di cannabis.

Per 20 anni anche per la lotta delle associazioni dei genitori, nessuno Stato passò una decriminalization law.

Le associazioni dei genitori avevano creato una lobby molto forte a Washington, la National Federation of Parents for Drug Free Youth, che negli anni 80 trovò un sostegno importante in Nancy Reagan, la più fiera oppositrice all’uso di tutte le droghe.

Tutte le decriminalization laws approvate dagli Stati in passato vennero cancellate e l’uso di marijuana tra gli adolescenti diminuì.

Nel 1986 due droghe entrarono in scena prepotentemente, la cocaina e soprattutto il crack. Quest’ultima in particolare faceva più paura all’opinione pubblica perché uccideva. 

La lotta alle droghe si fece ancora più severa anche se la marijuana, in confronto, iniziò ad essere considerata una sostanza molto meno pericolosa. Erano gli anni della diffusione dell’AIDS e la marijuana iniziò ad essere usata come una medicina che alleviava i dolori. Nacque in quegli anni il concetto di medical marijuana. Molti malati di Aids e anche i malati di cancro che si sottoponevano alla chemio terapia, lenirono dolori cronici grazie all’uso di marijuana la cui reputazione quindi stava nuovamente cambiando. 

Nel 1996 Brownie Mary e Dennis Peron proposero la prima legge sulla marijuana a scopo terapeutico, la Compassionate Use Act. La loro campagna mediatica funzionò, la proposta di legge venne approvata nel 1996 e la California fu il primo stato a legalizzare la marijuana ad uso terapeutico. Entro il 2000 altri sette stati seguirono le orme della California.

Ma si trattava comunque di uso terapeutico e gli arresti per il possesso di marijuana, non prescritta per uso terapeutico, aumentarono più che mai. Nel 2007 quasi il 50% degli arresti per droga erano legati al possesso di marijuana e più di 8 milioni di persone vennero arrestate tra il 2001 al 2010. La maggior parte delle persone arrestate erano giovani uomini di colore. 

Si calcolò che le persone di colore venivano arrestate 4 volte in più rispetto ai bianchi anche se l’uso di cannabis era in percentuale pressoché identico tra neri e bianchi.  

Nel 2010 Michelle Alexander scrisse un libro di denuncia intitolato “The New Jim Crow: Mass Incarceration in the Era of Colorblindness” in cui sottolineava il fenomeno di incarcerazione di massa delle persone di colore legate al possesso di marijuana. Da allora molti attivisti scesero in campo con una ragione in più per chiedere la legalizzazione e la decriminalizzazione con la tesi che se il possesso fosse diventato legale o decriminalizzato, la polizia avrebbe avuto meno pretesti per incarcerare 4 volte il numero di neri rispetto ai bianchi.

Anche per l’entrata in scena di questo nuovo elemento della “social justice” chiesto a gran voce da molti attivisti alcuni stati legalizzarono la cannabis, negli anni a seguire, anche a scopi ricreativi.

E ad oggi quasi metà degli Stati americani hanno ne hanno legalizzato il possesso anche se con sfumature legali differenti.

Cosa accadrà nei prossimi anni? Nasceranno nuove organizzazioni dei genitori o altre associazioni di attivisti pro o contro la legalizzazione? Altri Stati la legalizzeranno? Difficile prevederlo. 

Torno a vivere in America

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