Una volta pensavo che il tempo fosse qualcosa di universale. Certo, qualcosa di assolutamente mutevole, ma disciplinato da regole accettate da tutti, convenzioni internazionali vigenti in tutto il mondo, allo scopo di uniformare lo scorrere del tempo per l’intera umanità.
Da quando vivo nel Nuovo Continente, anche questa mia convinzione ha trovato modo di sgretolarsi come il Muro di Berlino nel 1989.
Sto riscontrando quanto sia diversa la mia cultura da quella americana, anche da un aspetto quale la concezione del tempo e il modo che ogni popolo ha di relazionarsi con esso, di concepirlo, percepirlo e organizzarlo. Ciascuna comunità affronta il tempo nella sua quotidianità, lo vive e lo pianifica, adottando prassi e schemi del tutto tipici.
Il senso del tempo negli Stati Uniti
Abitando qui, ho preso consapevolezza di essere abituato a vivere le mie giornate sulla base dei tre pasti che lo scandiscono, ossia colazione, pranzo e cena.
Partendo da questi tre “assiomi”, organizzo di conseguenza tutte le mie attività in programma, per esempio pensando che andrò dal dottore dopo colazione, mentre farò la spesa dopo pranzo e telefonerò a quell’amico prima di cena. Mi viene proprio naturale.
Faccio estrema fatica a rendermi conto che questo modo di ragionare mi è stato profondamente inculcato quando vivevo in Italia, inizialmente dalla mia famiglia, successivamente dalla scuola e più in generale dalla società in cui sono cresciuto e dove culturalmente l’argomento “cibo” ricopre un ruolo centrale e imprescindibile.
Molti miei amici stranieri mi hanno fatto notare che noi italiani amiamo trascorrere la maggior parte del nostro tempo parlando di cucina, senza nemmeno accorgercene.
Si tratta di discorsi a 360 gradi sul tema, che spaziano dallo scambio di ricette alla scoperta di quella nuova pizzeria da urlo, dalla diatriba infinita tra i pro-Bimby e i no-Bimby alla nuova dieta rivoluzionaria che fa ingrassare i deperiti e dimagrire i paffutelli, per finire con l’ennesimo inedito talent show culinario.
Insomma, noi italiani non conosciamo limiti, quando c’è di mezzo il cibo.
In confronto, il calcio è relegato a materia per pochi eletti, iscritti a qualche loggia massonica segreta.
In USA non è affatto così.
Una volta la Vivi è stata invitata da alcune mamme americane a portare le nostre figlie al parco giochi alle 4 di pomeriggio, per farle giocare con i loro figli.
A un certo punto, poco prima di rincasare, una american mom ha tirato fuori fette di pizza per tutti i bambini e mia moglie ha dovuto declinare, perché ormai a ridosso dell’ora di cena, cosa che avrebbe spento l’appetito delle bambine in modo irreparabile.
“Scusate, ma voi come fate ora con la cena?”, ha chiesto lei, perplessa, sentendosi guardata strana.
“Questa è già la loro cena: appena arrivano a casa, pigiama e nanna!” Hanno risposto loro, candide, guardandola strana.
Erano le 5 e mezza di sera. O, se siete italiani, di pomeriggio.
La sera stessa, a casa nostra, è andato in onda un avvincente duello tra:
SQUADRA A) alcuni pimpanti sensi di colpa, smaniosi di seppellire due genitori degeneri come noi, che, per cenare con le proprie figlie, forse le mandano a letto troppo tardi.
SQUADRA B) una vita genitoriale desolante, perché digiuna di un evento come la cena, spesso unico momento della giornata da poter trascorrere assieme alla propria prole.
Chi ha vinto non importa, ma nel prossimo post metto in luce altre piccole e grandi differenze sul modo di misurare il tempo, che rendono americani e italiani due mondi destinati a restare eternamente sfasati.
Buona lettura con “Altri tempi”.
Pietro, Provenzano’s Blog