Fenomenologia dell’italiano all’estero

…ovvero, la costante ricerca di cibo italiano.

Photo by Maurijn Pach on Pexels.com
La Carbonara.
Uno dei principali argomenti di discussione quando si parla di cibo tra italiani all’estero 🙂

Ho scritto tante volte dei processi migratori dall’Italia agli USA e di come questi abbiamo contribuito alla nascita della cucina Italoamericana, che tanto si discosta dalla vera cucina italiana attuale.

Centocinquant’anni dopo, poco è cambiato nelle nostre abitudini. Sono in diversi gruppi su Facebook di italiani all’estero e il cibo la fa da padrone, anche nei gruppi di stampo non prettamente culinario.
Cosa accomuna, la maggior parte dei post? In questo post vi racconto, tra il serio e faceto, dei principali atteggiamenti nelle discussioni sul cibo.

Lamentarsi, sempre e comunque

Al primo posto, in assoluto. Si lamentano di quanto la cucina italiana in loco lasci a desiderare, quanto sia difficile reperire lo stracchino, i biscotti del mulino bianco, il lievito di birra, quanto facciano schifo i ristoranti italiani, di quanto siano insapori le verdure. Il tutto, per carità, è verissimo.

Basterebbe però fare un passo avanti e guardarsi attorno. Acquistare mango o uva, invece di albicocche e nocipesche, fare colazione con il pancarrè (che è buonissimo) e la confettura, o impastarsi dei biscotti, e magari provare un ristorante messicano, peruviano o thai, sia mai che possa essere una scoperta più piacevole della carbonara panna prosciutto e funghi al risto-fake italiano.

Lo stracchino? no, per quello non ho soluzioni, se non farselo (con la ricetta di Vivalafocaccia) o aspettare di essere in Italia per apprezzarlo molto di più.

Il mio stracchino Homemade

Ma possibile che a me non manchi nulla? Oh, sì..mi mancano tanto le vongole. Ho risolto, mangio le capesante e per le vongole mi rifaccio in vacanza.

La derisione delle abitudini altrui

Non manca giorno che non mi compaia in bacheca un post in cui ci sia una foto di qualche prodotto di dubbissimo gusto. Barattoli di carbonara a lunga conservazione, spaghetti liofilizzati, piatti pronti con pessimo aspetto.

Eggià, esistono anche questi…

Li mangerei? No. Però proviamo a fermarci a pensare. Prima di tutto, non è che gli scaffali italiani siano così virtuosi. Ho visto “pacchi da giù” contenere besciamella pronta, ragù star o risotti e vellutate Knorr. L’ultima volta che sono stata in Italia c’erano discutibili sughi pronti e piatti da banco frigo che avrei avuto dubbi ad acquistare. Eppure, se li mettono in commercio, è perché qualcuno li compra, sia in Italia che all’estero. Alcuni prodotti vengono stoccati in casa in caso di emergenze. Uragani, tempeste di ghiaccio o alluvioni, tornado possono portare a perdita di corrente per molti giorni e avere cibi confezionato senza bisogno di frigo può fare la differenza tra digiuno e un pasto caldo. Molte case non hanno altro che energia elettrica, per cui in certi casi si deve fare affidamento solo su un fornellino da campeggio e non c’è certo la possibilità di bollire l’acqua e fare un sugo. Ma non solo queste situazioni estreme. Persone con ridotte capacità mentali o fisiche, homeless, campeggiatori, possono utilizzare certi alimenti e non hanno certo bisogno della vostra derisione. Per cui, la prossima volta, passate oltre, se non vi piace.

Lo sconcerto per le abitudini alimentari (rigorosamente altrui).

Dal porcellino d’india peruviano, ai grilli, passando per le iguane. Ma anche conigli e cavalli. Pensate che questi ultimi siano leciti, mentre gli altri meno? Ebbene, non è così. Un paio di anni fa, una ragazza colombiana mi chiese: “Ma è vero che in Italia mangiate anche… anche…i CONIGLI?” Come se mi avesse chiesto di cani o gattini. La sua faccia scioccata mi ha fatto capire come certe cose siano assolutamente culturali. Se il povero pollo mette, più o meno, tutti d’accordo, non è così per gli altri animali. A livello federale, è vietata la macellazione equina e il consumo è vietato in molti stati, tra cui la California. In ogni caso, per gli Americani, mangiare cavallo è una aberrazione, per cui neppure si pongono il problema. Si tratta di un fatto culturale, retaggio dei progenitori inglesi. Con il coniglio va leggermente meglio, nel senso che è possibile trovarlo presso una grossa catena di carni congelate (dove, in effetti è possibile trovare di tutto, dal canguro allo struzzo, dall’alligatore alla pecora INTERA, passando per ogni animale lecito), ma introvabile in altri negozi. Tuttavia, per gli americani, anche mangiare vitello non è consuetudine. Gli scaffali della GDO gli dedicano un piccolissimo spazio, con poche referenze, prezzi folli (tipo 25 $/lb-450g) e, pertanto, freschezza discutibile. Potete trovare vitello praticamente solo nei menu dei ristoranti italiani o cubani. Eppure per gli italiani, soprattutto quelli del nord, è normalissimo mangiare vitello. Come per un americano degli stati del sud lo è mangiare carne di alligatore. Purtroppo, in questo caso, l’egocentrismo culinario degli italiani fa sempre storcere il naso davanti alle abitudini altrui, senza pensare che per gli altri alcune nostre cose sono altrettanto strane.

L’italiano a ogni costo

Su internet è pieno di shop online che vendono prodotti italiani, sia in Europa che in USA. Questo permette di bypassare alcune restrizioni, come ad esempio il divieto di importazione di carni in USA, Mi spiego meglio: se i vostri genitori vogliono inviarvi un pacco di prodotti, questo non può contenere carni e derivati, quindi no prosciutto, guanciale, simmentathal ecc. Ma, acquistando online su siti che si occupano di importazione, questo è fattibile. Senza contare che la temperatura controllata permette di avere meno sorprese, in caso di invio di formaggi o alimenti deperibili. Cosa manca agli italiani all’estero? I biscotti (in primis il Mulino Bianco), l’Estathe, i Pocket coffee, ma anche lo Chanteclair e altri prodotti per la casa. I più fortunati, riescono a risparmiare le ingenti spese di spedizione di questi siti, andando ai supermercati italiani che hanno vicino, come ad esempio Eataly (per i fortunelli che lo hanno) o il Lidl, quando c’è la settimana Italiana.

Foto cortesemente fornita da una collega di shopping compulsivo, in un gruppo di Italiani all’estero

Noi siamo relativamente fortunati, perché la comunità italiana a Miami è abbastanza grossa e ci sono diversi punti vendita a cui appoggiarsi. Ma nel resto del mondo, c’è chi spende cifre da pasticceria per un pacco di Gocciole. Qui, confesso che non ne esco indenne. Sebbene sia sempre ben disposta a sostituire il locale per importato, mi rendo conto che certe cose, come una buona farina, la passata di pomodoro giusta o altri prodotti, fanno la differenza in certi piatti. Per cui, o vado in pellegrinaggio al supermercato italiano, o chiedo l’aiuto da casa. Soprattutto per le mutande, che trovare intimo di cotone da queste parti è più difficile della bottarga.

Ps. tuttavia, adotto la stessa regola per i prodotti etcinici in generale. Per cui, alla fine del mese, si ripartiscono in egual modo le visite tra super brasiliano, russo, sudamericano, asiatico ecc ecc…

L’ignorante

Questi sono a mio avviso, i peggiori. Deridono le abitudini altrui, considerano trogloditi alimentari le persone del paese in cui vivono, ma di fatto rendono palese la loro assoluta ignoranza in termini culinari. Ci siamo passati tutti. Io stessa, più volte. Non si può conoscere ogni prodotto tipico, ogni eccellenza locale. Ma non per questo bisogna escluderne l’esistenza a priori. Tra i commenti più frequenti che sento, in primis, l’assenza di una cucina Americana. Come se la Creola, la Cajun, tutta la tradizione degli Stati del Sud, non esistesse. Oppure, spesso mi viene chiesto come facciamo a mangiare carne in America, visto che è tutta bombata di antibiotici. E’ vero che negli anni 60-80 le pratiche di allevamento sono state terribili, soprattutto per far fronte all’urbanizzazione e al consumo indiscriminato di carne, ma è anche vero che nei supermercati americani si trovano prodotti da filiera certificata, a prezzi non proprio popolari, ma esenti da antibiotici e ormoni. Tutto il latte in commercio nelle principali catene è certificato hormon- free e la qualità di questi prodotti è assolutamente buona. Per dire, è molto difficile che in Italia mangiamo carne, ormai. Solo vedere quelle fette magrissime e rosa, oppure mangiare un Hamburger asciutto come una suola, sinceramente, mi fa passare l’appetito. Purtroppo spesso ci si affida a informazioni trovate su pagine clickbait piuttosto che cercare informazioni corrette. Per cui, si diffonde tanta malainformazione e poca cultura 🙂

La ricetta del mese

TORTA AL LATTE CONDENSATO

Ingredienti

  • Una lattina di latte condensato (circa 400g)
  • 140 g Farina 00
  • 50g amido di mais
  • 4 uova a temperatura ambiente, separate albumi e tuorli
  • 150 g burro (fuso e tiepido)
  • 1 bustina lievito per dolci (circa 16g se usate baking americano)
  • Spray staccante

Preparazione

  • Accendere il forno a 350°F o 180°C
  • Setacciare la farina con l’amido di mais e il lievito e mettere da parte
  • Sciogliete il burro in un bicchiere a bagnomaria e lasciar intiepidire
  • Montate gli albumi a neve con le fruste e mettete da parte
  • Montare a lungo i tuorli con il latte condensato fino ad avere un composto bello gonfio, poi aggiungere il mix di polveri setacciate e per ultimo il burro, continuando a montare.
  • Aggiungere gli albumi montati. All’inizio mettere un paio di cucchiai e mescolare circolarmente in modo da ammorbidire il composto, poi con un movimento dal basso verso l’alto, incorporate il resto della montata.
  • Mettere nello stampo, spruzzato con lo spray staccante, oppure passato con burro e poi infarinato
  • cuocere per 45-50 minuti, facendo la prova stecchino
  • Quando è cotta, far raffreddare, sformare e spolverare con zucchero a velo

NOTE

la torta è buonissima e profumata, anche in assenza di vaniglia o scorza di agrumi. Nessuno vi vieta di metterli, ma davvero si perde quel profumo di Galatina che caratterizza il dolce.
il mio stampo è il classico scanalato della Nordic Ware e contiene circa 1,4 L di impasto. Potete usare una tortiera da 24, o una ciambella da 26, andranno benissimo. Meglio che non mi pronuncio sul mio stampo. Diciamo che lo trovo più bello che pratico. E qui la finisco 🙂

Enjoy!

Elena, Florida

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