Per noi expat Natale vuol dire tornare a casa. Non importa quanto ci siamo ambientati, non importa quanti amici abbiamo, non importa quanto stiamo bene nella terra che ci adottato: quando i centri commerciali iniziano a bombardarci di stornelli natalizi, il nostro cuore inizia a fare le valigie.

Io ovviamente non faccio eccezione. Sfortunatamente, non amo particolarmente salire sugli aerei perché volare mi innervosisce. Inoltre ho la particolare tendenza a trovarmi accanto persone con gomiti appuntiti che, centimetro dopo centimetro, si appropriano del mio spazio vitale, del bracciolo e di parte del mio sedile. Ma per tornare a casa si fa anche questo, no?
Purtroppo negli ultimi due anni, a causa del Covid, viaggiare è diventato ancora più complicato. Tamponi, Green Pass, quarantene… già da qualche mese prima della partenza io mi ero trasformata in un ufficio stampa domestico, leggevo più quotidiani del portavoce del Quirinale e tenevo traccia di nuove leggi e normative. Tra noi amiche espatriate ci scambiavamo testimonianze, ci inoltravamo link, riportavamo fatti più o meno attendibili. E man mano che una di noi saliva su quell’aereo, partiva il video tutorial su come affrontare ogni singolo step, dal check in all’immigrazione all’arrivo in Italia. Chi è partito prima degli altri ha fatto letteralmente da apripista e ha poi suggerito agli altri fortunati strategie per evitare problemi e intoppi.
Ovviamente, via via che si avvicinava la partenza, la situazione dei contagi si faceva sempre più seria, e anche le norme diventavano più stringenti: il tampone rapido, ad esempio, non doveva essere fatto prima delle 24 ore dall’arrivo in Italia, e per noi che avremmo trascorso almeno 20 ore in giro per aeroporti era impossibile poter rispettare certe condizioni. Così abbiamo scelto il PCR molecolare.
Ne abbiamo fatti due.
E un rapido, così, tanto per.
Nostro figlio ci ha seguito incredulo in tre differenti cliniche e ha assecondato la nostra psicosi come si fa con le persone molto, molto malate, e sono sicura che dentro di sé stia ancora benedicendo il fatto che tra 6 mesi andrà via di casa.
E il Green Pass? Come ottenerlo dall’estero? Niente paura, c’era un link anche per quello! Io ho seguito le istruzioni e compilato tutte le form richieste, ma in tutta onestà non ho mai ricevuto l’agognato lasciapassare. Molte mie amiche sì, ma noi per qualche strana ragione non lo abbiamo mai ricevuto. Io non mi sono lasciata intimidire, e ogni volta che ho messo piede in un ristorante o in un museo ho sfoderato la mia Vaccination Card del CDC, made in USA e quindi meritevole quanto meno di una seconda lettura. Mi è capitato di incontrare qualche ristoratore un po’ dubbioso, e in quei casi ho sciorinato una educata (ma piccata) litania: lei forse non è informato, ma c’è un’ordinanza del Ministero della Sanità che equipara la mia Vaccination Card al vostro Green Pass, bla bla bla. Certo, certo, signora, entri pure.
Difficoltà burocratiche a parte, questo Natale marchiato Omicron è stato soprattutto un Natale asciutto, senza baci e abbracci. Un Natale di preoccupazioni, di telegiornali allarmati e allarmanti, di polemiche per il costo e l’efficacia dei tamponi. Un Natale che abbiamo trascorso in parte in isolamento, perché il Covid è entrato anche nella nostra famiglia rubandoci del tempo prezioso. Non è riuscito, però, a rubarci la gioia di stare insieme, di ridere, di sentire ancora forte la voglia di godersi il Natale e le feste. Poco importa se l’abbiamo fatto mantenendo un metro e mezzo di distanza.
Ecco, alla fine, com’è andata… clicca qui sotto per continuare a leggere.
Antonella, Io me ne andrei – Cronache di una milanese in Texas