La settimana scorsa sul nostro account Instagram di USA Coast to Coast, Francesca dall’Alabama ha messo una foto dei dormitori del campus universitario della città dove abita. Nella descrizione faceva notare una delle colonnine di soccorso che chiunque sia stato in un campus universitario americano avrà visto.
È a causa o merito suo che ho deciso di scrivere il mio post di questo mese per il blog.
Le colonnine servono per riportare una qualsiasi forma di pericolo in cui ci si possa imbattere quando si è all’università sia all’aperto che nei dormitori.
Ho insegnato 16 anni all’università e pur non essendo un’esperta ne ho scoperto tanti aspetti belli e meno belli.
Le università americane sono come città dentro le città: sono indipendenti nei servizi offerti e autosufficienti. Molte hanno la loro polizia, medici, psicologi e tanti studenti che ci vivono, studiano e lavorano.

Alcune di esse sono piccole e fanno sopravvivere con la loro presenza anche le cittadine dove si trovano, altre sono inserite in una città più grande o in metropoli.
In tutte c’è la relazione tra dentro e fuori nel bene e nel male in quanto i campus non sono circondati da mura invalicabili.
Per gli studenti che ci vanno, l’università rappresenta il distacco dalla famiglia, il periodo di transizione tra l’adolescenza e la vita adulta, prove di indipendenza e responsabilità.
Ma sono anche giovani ed impreparati e trovo sia necessario prepararli a questa transizione parlandone in famiglia.
Ho trovato negli anni che moltissimi sono naive in quanto non sono mai stati messi a contatto con problemi, che qualcun altro fino ad allora ha risolto per loro.
Vivere nei dormitori rappresenta una buona transizione perche` essi offrono una certa protezione.

Per questo motivo molte università prevedono la vita in dormitorio nel primo anno, alcune anche nel secondo, ma dopo i ragazzi si spostano a vivere in appartamenti comodi per frequentare, fuori dal campus. Di solito con amici conosciuti all’università.
Vivono a contatto gli uni con gli altri, condividendo tutto, dai libri, ai passatempi, allo sport… alle feste.
Per gli Stati Uniti bisogna avere 21 anni per bere legalmente. Si va all’università a 18. Devo aggiungere altro? I campus sono “alcohol free”, ma questo vuol dire che gli studenti non bevono?
SURE MOM, direbbe mia figlia per sfottermi.
Comprare alcolici sotto il limite d’età è a quanto pare facilissimo, perchè bere vuol dire sfidare le regole, sentirsi grandi e lontani dagli occhi della famiglia.
Basta trovare una persona che vende un “fake I. D.” E a quanto pare ce ne sono a iosa che gravitano intorno ai campus.
Come ci sono anche tanti bar che chiudono un occhio.

L’alcool è il male? No, ma se è illegale diventa più attraente e molti ragazzi non sanno come il loro corpo tollera questa nuova sostanza che ingeriscono per la prima volta.
Cadono le inibizioni, si fanno cose che poi si rimpiangono… succedono cose che lasciano il segno, un segno brutto. E non parlo solo di ragazze. Le statistiche sono scioccanti e ve ne parlo nel mio post.
Sono notizie che quasi sempre rimangono sepolte, non escono dal campus, vengono nascoste per non fare brutte figure, per mantenere alti gli standard e attirare i ragazzi.
Vi ho scioccati? Non era mia intenzione, ma non va bene nascondere la testa nella sabbia pensando che a noi o ai nostri figli non possa accadere mai. Bisogna conoscere il problema per evitarlo.
Aggiungo che noi insegnanti, e anche i ragazzi facciamo dei corsi per riconoscere ogni forma di violenza di cui possiamo essere vittime (ma anche colpevoli), per cui gli strumenti ci sono, basta usarli senza vergogna.
Spero di avervi aiutato oggi con la mia esperienza
Claudia, Un’alessandrina in America