“Run, Hide, Fight”. Le regole per salvarsi da un attacco armato

Quando accade, è difficile reagire in fretta. Soprattutto quando sei appena arrivato in America. Trovarsi sulla scena di un attacco armato è qualcosa di difficilmente immaginabile in Italia.

Non da questa parte dell’Oceano. Sin dai primi anni di scuola, gli americani iniziano a fare corsi sulle procedure da seguire quando entrano in contatto con un “active shooter”, cioè una persona armata che entra in un luogo pubblico minacciando la vita delle persone.

Il delicato rapporto con il secondo emendamento è parte integrante della vita negli Stati Uniti.

In questi giorni in cui armi, gruppi armati, e terroristi interni sono alla ribalta su tutti i giornali, ogni americano probabilmente ripassa mentalmente le regole da seguire nel caso in cui si venga coinvolti in uno scenario di attacco armato.

I principi sono tre, progressivi di una escalation del pericolo: “Run, Hide, Fight”.

Regola numero 1: come prima cosa scappa, corri. Ce lo insegnavano i romani con il commodus discessus: se hai una via alternativa per evitare il pericolo, prendila. Non fare l’eroe.

Regola numero 2: nasconditi, trova riparo, mettiti al sicuro. E non fare rumori, né suoni, che ti espongano e permettano agli “attacker” di localizzarti. È molto importante anche evitare l’uso di cellulari, se non può essere fatto in silenzio.

Regola numero 3: combatti. Solo in casi estremi, quando i primi due rimedi falliscono, allora rimane solo la possibilità di affrontare l’assalitore. In quel caso, bisogna saper scandagliare l’area nella quale ci si trova per trovare un mezzo di difesa.

Nella vita di un expat, prima o poi succede di entrare in contatto con un active shooter. È un’esperienza terribile, psicologicamente dolorosa, che segna, e alla quale si sopravvive raccontando e condividendo.

Anche a me, ancora fresca di trasferimento, capitò di finire sulla scena di un attacco. Fortunatamente, mi trovavo fuori dal palazzo e ho applicato molto facilmente la regola numero 1: “Run”. Quello che mi rimane è la rapidità dell’escalation, l’incapacità di incasellare immediatamente la situazione in un contesto noto, e poi il senso di panico e desolazione che mi è rimasto dentro per diverse ore, e poi diversi giorni. E io, per fortuna, ero solo marginalmente sulla scena.

Se vi va di leggere qualche dettaglio in più, qui vi racconto com’è andata.

Klara, Giovedì mi sveglio in America

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