Quest’oggi vorrei raccontarvi un’altra mia avventura estratta dal mio primo libro: “Il Nostro Pazzo Viaggio In Caliofornia”
2 Ottobre 2018. “Lasciammo la tranquilla e un po’ desolata Gardena, per metterci alla guida della nostra Nissan Rogue, sulla I-110, la famosa autostrada che collega Long Beach con Pasadena passando per Downtown. Lì era ubicato lo Staples e quella strada rappresentava il modo più veloce per raggiungerlo, traffico permettendo. Ovviamente questa era molto trafficata. Non come potrebbe esserlo la mattina, quando si possono incontrare tutti i residenti nelle cittadine marittime che vanno a lavorare in centro, ma ad ogni modo, un traffico considerevole. Si vede che anche altri cittadini erano interessati a vedere la prima partita stagionale dei Lakers in casa, nonché la prima di LeBron James davanti ai suoi tifosi…
Arrivammo nei pressi dello stadio poco prima delle 19. Parcheggiamo negli stalli del LA Live per una modica cifra, si fa per dire: venti dollari! Dopodiché ci incamminammo per l’area antistante alla struttura. Qui c’erano negozi, ristoranti e quant’altro: un vero e proprio mall per intrattenere il tifoso prima e dopo l’evento. Davanti all’entrata dell’arena c’era la biglietteria, qui mi misi in coda e aspettai il mio turno. Quando l’addetta si liberò mi servì.
Le dissi ≪Buonasera, quanto costano due biglietti per la partita di questa sera Los Angeles Lakers vs Denver Nuggets?≫ Lei guardandomi in modo un po’ annoiato mi rispose ≪Sono 300 dollari, 150 dollari a persona.≫
Ed io risposi ≪Cosa? 300 Dollari?≫
≪Sì certo 300 dollari.≫
In quel momento, ero ancora incredulo, mi feci superare da quello dietro e non approfittai dell’inquietante offerta. Erano davvero troppi. Non potevo spendere tutti quei soldi. Eravamo solo al secondo giorno di vacanza. Sarebbe stata una follia per il nostro budget così rinunciai.
Mi avvicinai ad un bagarino, un tipo dinoccolato, alto, magro, afroamericano che con fare amichevole, ma abbastanza maleducato mi disse ≪Ehi amico, se vuoi ti posso dare due biglietti per 300 dollari.≫ Lo guardai, e gli dissi che non ero interessato.
Rinunciai, sconsolato, ancora una volta.
Una volta appurato che non avrei visto la partita dal vivo, mi consolai scattandomi dei selfies con le statue commemorative dei grandi cestisti della storia dei Lakers: Wilt Chamberlain, Kareem Abdul Jabbar, Earvin Magic Johnson, Jerry West ed Elgin Baylor. Non era sicuramente la stessa cosa, ma provavo a farmi scivolare il pensiero di dosso in qualsiasi maniera che mi venisse in mente.
Dopo un po’ quando la partita stava per iniziare decidemmo di vederla in tv in un fast-food antistante allo Staples. I panini erano molto buoni, io ne presi uno vegano, fatto con i fagioli che sembrava carne per la consistenza, se vi capita andateci. Come dite? Non vi ho detto come si chiama? Rimedio subito. Si tratta di Smashburger.
Alla TV, proprio all’interno del locale, c’era Isiah Thomas, ex giocatore dei Detroit Pistons, in veste di commentatore, che dava il suo parere tecnico sulla partita che stava giocando King James. Il match si vedeva benissimo, ma non era certo la stessa cosa di vederlo dal vivo. Ero molto contrariato. Sentivo che stavo buttando un’occasione, ma non volevo spendere quella cifra. Dopo dodici minuti il primo quarto della partita finì.
Tra il primo e il secondo quarto tornai nell’area antistante allo stadio, c’era ancora qualche bagarino. Quello dinoccolato che mi voleva mollare la fregatura qualche minuto prima mi fermò e mi disse ≪Se vuoi ti do i biglietti per 200 dollari.≫ Gli dissi ≪Te ne do 150.≫ Lui all’inizio non era troppo convinto sulla bontà della mia controfferta, poi dopo qualche secondo cambiò idea di buongrado. D’altronde la partita era già iniziata e lui rischiava veramente di non vendere quei biglietti. Dovevamo verificare la veridicità di quei tagliandi. Da lì a poco lo avremmo scoperto. Ci avvicinammo all’entrata, li mostrammo allo steward che dopo aver scansionato il barcode dei biglietti con un piccolo scanner ci fece entrare nell’arena. Ce l’avevamo fatta: eravamo dentro!
I biglietti erano veri e validi! Purtroppo i posti assegnati non erano vicini. Io avevo il tagliando per l’area Vip ed Eva per un’altra area, diametralmente opposta alla mia.
Provammo prima ad andare nella sua area a chiedere alle hostess se fosse possibile farci sedere insieme. Ci risposero che non era assolutamente previsto di mettersi in posti non preassegnati. Quindi lasciai lì Eva ed io andai nell’area Vip.
Quest’area era fantastica: per arrivarci bisognava attraversare un lungo corridoio con poltrone ben rifinite e con foto d’epoca con i grandi Lakers del passato sui muri. La visuale era fantastica, anche se ci misi un po’ per trovare il mio posto. Dovetti, persino, chiedere aiuto agli inservienti dello Staples per trovarlo. Alla fine mi sedetti. Le sensazioni che provai erano molteplici. Ero eccitato, soddisfatto e esterrefatto. In fin dei conti, chi non lo sarebbe stato? Poco prima ero in un fast-food, triste e sconsolato a guardare la partita alla TV, mangiando un triste hamburger vegano (non me ne vogliano i vegani, purtroppo io ho altri gusti). Ero davvero felice.
Dal soffitto del palazzetto, sul lato diametralmente opposto, era possibile vedere le maglie numerate ritirate dei grandi campioni del passato. Dietro di me, vicino ad uno dei tabelloni con il punteggio del match, c’erano degli stendardi con sopra scritto World Champions e l’anno di riferimento. Questi erano davvero tanti. Infatti i Lakers sono stati campioni della NBA ben 16 volte, ce ne erano 11 gialli e 5 bianchi. I gialli, rappresentavano i titoli dei Los Angeles Lakers, i bianchi, quelli dei Minneapolis Lakers. Si, per chi non lo sapesse, i Lakers in passato avevano la loro sede a Minneapolis, Minnesota. Ecco spiegato anche il perché del loro nome. Infatti il Minnesota è famoso per essere “la terra dei 10.000 laghi”. Con lo spostamento a Los Angeles, mantennero il loro nome, (in italiano: i lacustri di Los Angeles) nonostante la nuova città e la California non avessero molti laghi, anche se poi quelli che ha sono particolarmente belli (il Salton Sea non troppo). Inoltre, erano visibili dei gagliardetti più piccoli che dovevano rappresentare i titoli di Conference vinti dalla franchigia nella sua storia: ben 31! Record della NBA.
Lo stadio era gremito. C’era gente in ogni dove. Tutti o quasi con una casacca giallo-viola addosso, o con un cappello con la visiera. C’era pure chi aveva indosso il berretto dei Denver Nuggets. D’altronde i Lakers non giocavano da soli e gli ospiti si facevano sentire, come potevano.
Il basket, ma anche lo sport in generale negli USA è trasversale. Coinvolge tutti. C’erano coppie adulte, coppie adolescenti, famiglie, teen-ager e anche qualche pensionato. Tutti coinvolti nel tifo, ma in maniera assolutamente ordinata e civile. Dovrebbe essere così anche in Italia, ma troppo spesso, soprattutto per il calcio, questo non è possibile. Anzi.
Al centro dello stadio pendeva un enorme set di schermi, con cui era possibile rivedere i replay delle azioni della partita. Era il secondo quarto ed i Lakers non stavano dominando; vincevano ma senza dare troppe certezze. LeBron James non stava giocando al massimo, per via di un fastidioso infortunio che lo limitava, anche se la sua presenza in campo si faceva sentire con assist ed idee.
Il pubblico urlava: ≪DEFENSE, DEFENSE, DEFENSE≫ quando la palla ce l’avevano i Nuggets, per caricarli ed impedirgli di fare canestro. Eva nel frattempo mi scriveva sul cellulare dicendomi: ≪Ma cosa dicono?≫ Giuro che si capiva, ma per qualche motivo lei non riusciva a distinguere le parole. Come credo immaginiate io conoscevo molto bene questa pratica di incitare la squadra a difendere: l’avevo sempre vista nelle partite che vedevo prima su Tele Capodistria, poi Teledue, poi Telepiù ed infine su Sky Sport. Conoscevo molto bene come era strutturata una partita di basket NBA, ma appunto l’aveva vista solo in televisione. Dal vivo era un’altra cosa come emozioni ed atmosfera. Finalmente potevo unirmi anche io a quel fantastico coro difensivo.
Arrivò la fine del secondo quarto, che come molti sanno, coincide con un intervallo più lungo, pertanto i giocatori ci misero più tempo per rientrare dagli spogliatoi. Questo tempo fu impiegato dalle cheerleaders per preparare una fantastica coreografia, mentre sul set di schermi enormi al centro dello Staples, venivano trasmessi dei simpatici video in cui i membri della squadra rispondevano a delle curiosità dei fan.
Su per le scalinate passava il ragazzo dei popcorn, che a dire la verità, aveva un po’ di tutto. Per fortuna, resistetti e non comprai nulla. Per una volta, la linea era salva.
Come detto, dopo tutto questo, i giocatori rientrarono dagli spogliatoi, ma senza LeBron James. Da quel momento in poi la squadra cominciò a peggiorare il proprio gioco, anche se riuscì a rimanere in partita, tenendo il vantaggio nei confronti dei Nuggets.
Finì anche il terzo quarto 84 – 78 per i padroni di casa. Anche se era un’amichevole la tensione era alta. La squadra non voleva perdere la prima stagionale davanti al proprio pubblico. Cominciò l’ultimo quarto, dopo l’ultimo balletto delle LA Laker Girls. Per fortuna Eva non era vicino a me, sicuramente mi avrebbe sgridato, poiché avevo particolarmente gradito lo spettacolo. Come dicevo il quarto iniziò e i Lakers cominciarono a perdere terreno fino a che Denver li superò. LeBron non entrava dal secondo quarto e a quanto pareva non sarebbe rientrato. Il coach, Luke Walton, chiamò un paio di time-out per evitare la sconfitta. A pochi secondi dalla fine, i Lakers erano sotto di due punti, ma con la possibilità di effettuare un tiro da 3 punti. Questo fu tirato proprio allo scadere del tempo. Se la palla fosse entrata i Lakers avrebbero vinto. Non entrò. I Lakers persero 111 a 113. Peccato.
Fu ad ogni modo una grandissima emozione. Mi misi in contatto con mia moglie e cercammo di incontrarci direttamente fuori dall’arena anche se ci mettemmo un po’. C’era tantissima gente che stava uscendo dallo stadio e anche se i tifosi si muovevano in maniera ordinata, erano comunque tantissimi. Ci volle un po’ di tempo per far defluire quel fiume di persone. Ci trovammo fuori dallo stadio davanti al negozio di gadget. Volevo comprarne uno. Alla fine mi limitai solo ad alcune foto. Anche perché di souvenir avevo già il biglietto della partita e mi bastava, eccome.
Tornammo al parcheggio dove si trovava la nostra auto, stanchi ma davvero soddisfatti. Entrati all’interno della nostra Rogue fu un’impresa ardua tornare in albergo per via del traffico. Dopo oltre un’ora ci riuscimmo. Una vera esperienza americana faceva parte finalmente della nostro background. Esausti, ci cambiammo e cominciammo a dormire. Il giorno dopo avremmo lasciato Gardena alla volta del deserto. Era giunto il momento del nostro On The Road. L’avventura vera e propria stava per iniziare.”
Dedico questo articolo alla memoria di Kobe Bryant e alla vittoria del campionato di quest’anno dei Los Angeles Lakers. Una delle poche gioie di questo fastidioso anno.
Se volete leggere altro sul nostro viaggio del 2018 potete farlo a acquistando il mio libro a questo link.
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Alessandro & Eva