Non l’avrei mai detto, ma è successo anche a noi. Italianissimi, passati i quaranta, radicati nelle nostre origini e tradizioni, ci scopriamo oggi molto più Americani di quanto non volessimo diventare. Nel bene e nel male, stiamo accogliendo piccole abitudini e sempre più spesso ci ritroviamo a guardare al nostro grande Paese con piglio severo e giudicante, con una faccia che dice “eh, Italia mia, non ci siamo proprio”.
Qualcuno lo chiama spirito di adattamento, io la chiamo sopravvivenza, ma forse la differenza è sottilissima. Fatto sta che, giorno dopo giorno, abbiamo cambiato passo, oltre che accento, e ci siamo costruiti un altro modo di pensare e di decidere. Questo cambiamento è spaventosamente evidente nei giovanissimi, che viaggiano con un bagaglio leggero, non hanno freni, hanno un passato che chiama con una voce talmente sottile, che molto spesso non si sente nemmeno più.
Nostro figlio, per esempio, è così inserito nel suo contesto che ormai “sembra un Americano”. Me lo dicono tutti. E non è solo per il fatto che, come tutti gli adolescenti, indossa la felpa della scuola e i calzoncini corti, ma perché ormai si muove nel branco come uno di loro. E ama il Texas, profondamente. Quel giuramento alla bandiera che fa ogni mattina a scuola gli è entrato sotto la pelle e la Lone Star è l’unica stella polare nella sua vita.
Per noi genitori non è così facile, ovviamente. Trasferirsi da adulti, anziché da bambini, è un po’ come fare gli orecchioni da adulti, anziché da bambini. Fa un male cane. Il senso di disorientamento, di lontananza, di “che cacchio ci faccio qui” è fortissimo.
Ma quando ti accorgi di che grande fortuna sia, allora tutto cambia. Sì, perché il bello di cambiare Paese è che puoi scegliere cosa fare tuo del tuo nuovo mondo e cosa portarti dietro del vecchio. Scopri che non è tutto necessariamente da buttare e che ci sono tante cose che possono esserti utili anche qui, nella tua nuova casa. Scopri che puoi accogliere nuovi modi di vita, nuovi pensieri, perfino nuove idee, e che tutto quello che pensavi fosse già scritto è invece ancora tutto da riscrivere.
Si chiama flessibilità, e secondo me distingue le persone felici da quelle infelici. O, quanto meno, quelle che sopravvivono facilmente da quelle che sono sempre un po’ a boccheggiare. Io mi consideravo la regina della flessibilità, invece ho scoperto che ci metto un po’ a trovare nuove strategie di adattamento per sopravvivere. Per molto tempo sono rimasta sott’acqua, cercando di respirare come se intorno a me ci fosse l’aria. Poi, finalmente, con naturalezza, ho scoperto che avevo bisogno delle bombole.
Vi racconto un po’ come è successo…
Antonella – Io me ne andrei, Cronache di una milanese in Texas