Miami e’ stata a lungo una città santuario, una di quelle in cui gli immigrati illegali erano per cosi’ dire non troppo perseguiti dalla legge. Sotto la quarantacinquesima presidenza degli Stati Uniti le cose sono un po’ cambiate, e le notizie di retate di illegali sono diventate più frequenti.
Stamattina parlavo con una mia giovane collega. Ha 23 anni ed e’ arrivata due anni fa dal Venezuela chiedendo asilo politico. Mi ha raccontato che e’ estremamente felice, e grata, di poter essere qui, ma ha l’anima divisa in due perché la sua famiglia e’ rimasta nella sua città natale. Mi ha raccontato che per andare via ha dovuto vincere funzionari corrotti e inefficienze burocratiche, che ottenere un semplice passaporto le e’ costato molto in soldi, fatica e preoccupazioni, e che sara’ bloccata qui sul suolo americano fino a quando la sua pratica non sara’ terminata.
Ho ripensato allora alle tante persone che ho conosciuto in questi anni. Le storie più incredibili sono quelle dei sudamericani. Chi e’ scappato dalla guerra del Salvador. La peruviana che cullava la sua piccola bambina insieme alle scimmie. L’honduregno che ogni estate che torna a visitare la famiglia costruisce un pezzo della sua casa – vi ricorda qualcosa? La giovane del Costarica che e’ arrivata a Miami per amore, divorziando dal marito americano pochi mesi dopo aver ottenuto la Green Card. Ho conosciuto gente che e’ arrivata qui senza aver prima mai vissuto in una casa con il pavimento, o le fognature, o la luce.
Vedo le facce dei cubani che sbarcano a Miami e vengono completamente accecati dalla ricchezza dei supermercati americani, loro che avevano diritto ad una piccola razione di cibo mensile. Ma a Miami ci sono tantissime altre nazionalità. I profughi haitiani, perseguitati in patria ed isolati qui, le persone più umili che puoi incontrare a Miami sono loro. Gli indiani che parlano con i nigeriani e fanno a gara a chi nelle loro città natali aveva trascorso più tempo in auto nell’ingorgo del secolo. I cinesi attaccatissimi alla loro cultura e alla loro lingua, estremamente competitivi e motivati. I russi, benestanti che dividono il quartiere con gli ebrei ortodossi, quelli che al sabato non possono nemmeno chiamare l’ascensore. Gli iraniani, gli ultimi fortunati ad aver ottenuto un visto prima che la loro nazione venisse inserita nel divieto tra quelle pericolose. E ancora gli europei, numerosissimi.
Leggi il mio post Miami, città di frontiera.