Quando ti trasferisci negli Stati Uniti portandoti dietro un bagaglio emotivo ingombrante, non fai una vita facile…
Io sono una persona che si affeziona facilmente, che fa amicizia in fretta, che costruisce in poco tempo abitudini affettuose, come prendere un caffè o un bicchiere di vino insieme. Le persone mi piacciono, e soprattutto mi piace conoscerle a fondo, farle entrare nella mia vita ed entrare con garbo nella loro. Quindi, stando a quello che mi dicono in molti, mi trovo nel posto sbagliato.
Io, che cerco il “per sempre” un po’ ovunque, infatti, mi trovo all’improvviso nella patria degli spostamenti, dei cambiamenti, del “tutto è possibile”. Il che è tutto molto bello, per carità, ma vedere tutta questa gente che cambia lavoro, casa, città e scuola con una certa leggerezza, mi fa perdere punti di riferimento, talvolta mi fa sentire anche un po’ sola.
Io, al contrario, ho vissuto per trent’anni nella stessa città, Milano, per poi trasferirmi in provincia una volta sposata, e adesso che vivo in Texas sono circondata da famiglie che sembrano le palline di un flipper. Tutti sono alla ricerca della realizzazione personale e professionale, sono in un moto perpetuo, hanno radici leggere e grandi sogni. Mi piacciono, così come mi piace questo spirito di rinnovamento, questo non accontentarsi mai, ma da una parte…eh, da una parte vederli andare via strappa qualcosa dal mio cuore italiano.
Quindi cosa fa una come me, per proteggersi da una mai risolta sindrome da abbandono? Semplice, se ne fa una ragione. Ecco come si impara a dire addio… continua a leggere.
Leggevo che negli Usa una persona cambia, nell’arco della vita, sette volte città, residenza.
Talvolta, appunto, a migliaia di km di distanza.
Ho amici (ma decine di esempi così potreste farli anche voi…) che abitano in Florida e hanno i genitori a Ny e in California, e così via.
Cose non facilmente concepibili per noi italiani…
d.
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